o acquisite, coll’ educazione giovanile, nell’ Accademia e a bordo delle navi. E insieme a queste doti, le conversazioni rivelavano in molti, una cultura veramente profonda, o almeno, varia o geniale ; in tutti, uno spirito di conversazione che pur troppo, non si trova più nei salotti, dopo che questi hanno ceduto il posto agli halls dei grandi alberghi. Difetto, se può chiamarsi tale, quella dote che è figlia naturale dello spirito, la tendenza alla critica, a quello che i Francesi chiamano persiflage, e che noi diremmo garbata canzonatura. Si capisce che a questa non potevamo sfuggire, sempre, noi, volontari. Rappresentavamo una novità in troppo stridente contrasto con tutte le tradizioni accademiche della Marina. L’indeterminatezza delle nostre attribuzioni, le origini borghesi, le naturali manchevolezze delle nostre cognizioni tecniche, offrivano facile campo alle osservazioni un po’ ironiche, alle satire più o meno velate dei nostri colleghi. Quei sarcasmi ci sembravano, allora, discretamente pungenti, e quelle punzecchiature ¡asciavano un po’ di bruciore, ma oggi dobbiamo riconoscere che quelle critiche garbatamente ironiche servirono a correggere molti nostri difetti ; furono, sopratutto, potente stimolo a provare coi fatti l’utilità del nostro concorso all’ opera della marina. Aveva quindi ragione, sotto questo aspetto, il comandante in secondo, quando affermava che la tavola da pranzo poteva trasformarsi in una cattedra di educazione militare. Non però come la intendeva il buon ufficiale, troppo ligio alle tradizioni dell’Accademia Navale. Nessuno di noi - io credo - ha acquistato quel certo non so che, dal quale si rivela, a prima vista, un vero ufficiale di marina ; e, salvo in qualche atteggiamento passeggiero, la lunga convivenza non ha potuto cancellare l’impronta lasciata in ciascuno di noi dalla vita civile. 33