dinando di Coburgo, questo triste canto sgorgò dalle sue labbra : « Dov’è il mio paese natale? È il mio paese natale quella terra dove io ho visto su di me la prima volta il fulgore dell’aurora? 0 forse questo bellissimo cantuccio dove risuona la lingua materna, dove deliziosamente stormiscono le quercie in mezzo alla grande corte della casa paterna? Dove deliziosamente le quercie sussurrano antichi canti di antichi tempi e soffian con essi un profondo sonno su coloro che dormono senza risvegliarsi? Là vivono i miei fratelli, solo per nome fratelli; le loro anime non riscalda l’amore o la fiamma dell’odio. C’è freddo là... Questa stirpe conosce solo le basse passioni e il basso male che la porteranno alla tomba... Non ho io terra natale! ». È stato sempre compito dei poeti lamentar le bassezze, spingere alle alture divine, esaltare il volo dell’aquila, schiacciare il serpe annidato proditoriamente nel folto. Questa missione adempì Vazov, questa missione conobbe anche Slavejkov. E se per aver mirato al-l’Occidente lo si potè accusare di scarso patriottismo, a me pare che basterebbe il dolore accorato di questa strofe per affermare l’amore del poeta per la sua patria. Non è forse male ricordar qui l’amarezza di Botev, del puro immortale eroe a veder le