La polemica che per lungo tempo si trascinò in Bulgaria al principio del secolo intorno alle nuove correnti poetiche occidentalizzanti ebbe ragion d’essere solo, in quanto che, nell’ardore di far proprie le nuove forme, le nuove espressioni, i poeti bidgari come tutti i giovani adepti, caddero in esagerazioni e sembrarono con ciò dar ragione ai difensori di una tradizione che del resto, nella sua intima sostanza non era tradita, ma soltanto sviluppata ed arricchita; ma fu dannosa perchè spinse i novatori a insistere in atteggiamenti che potevano essere solo passeggieri. Uno dei critici più avversi alle nuove correnti ma che tuttavia vide giusto fu, per esempio, Christo Cavkov che nel 1912 dopo aver condannato le esagerazioni concludeva dicendo che se i giovani erravano, tuttavia una nuova corda si sentiva risuonare che non giustificava l’eccessivo pessimismo. Il poeta che primo diede alla poesia bulgara l’impulso a conoscere e far proprie le correnti straniere senza per nulla dimenticare le proprie tradizioni, per lui tanto più doverose in quanto che ereditate anche col sangue, fu Penco Slavejkov, il figlio del glorioso Petko. Anche egli come Vazov riecheggiò gli avvenimenti del suo paese in canti di puro lirismo personale. Così, per esempio, nel 1894, quando fu instaurato il nuovo regime di Fer-