talia commosse, e gli riversava poi, come cariche d’elettricità, sovra il popolo ». Mutate solo poche parole in questa commossa rievocazione dell’origine dei canti del nostro aedo, e forse soltanto i nomi d’Italia e di Mameli in Bulgaria e Botev, essa si potrebbe ripetere per l’aedo del popolo bulgaro. Il disprezzo che ha per la morte questo infiammato poeta è un disprezzo cosciente, direi quasi troppo cosciente, e le parole di cui egli sa rivestire la sua ansia angosciosa di gettar via la vita perchè la sua morte sia come egli dice « per la giustizia e per la libertà », sono parole semplici, nude, quelle sole che può dettare una certezza senza indugi ed ambagi. Egli deve prender congedo dalla madre partendo : « Non piangere, madre, con addolorarti se mi son fatto hajduk, madre, ribelle, e te, sventurata, ho lasciata a piangere il tuo primogenito. Ma maledici, madre, esecra questa nera marmaglia dei Turchi che ha cacciato noi giovani in terra straniera, costretti ad andare, vagare, invisi, sventurati, odiati. Io so, madre, che m’ami, che posso morire domani quando attraverserò il bianco, tranquillo Danubio! Ma dimmi, che debbo fare, se m’hai, o madre, generato con cuore virile ed ardito? Questo cuore, o madre, non sopporta di vedere il Turco infuriare nel focolare paterno, là * 13 *