razione il suo sogno di aiutare i poveri fratelli vinti: «Poveri, dolotranti fratelli miei minori! Io apro a voi le mie braccia; ardente è il cuore, dilaniata la mia anima, ma quale aiuto può venire a voi? ». Eppure no: « Al-l’armi, o fratelli — grida egli — all’armi per la santa libertà, per la Nazione... I morti non soffrono vergogna, la muta tomba è santa; solo pesante è il giogo e vile lo schiavo vivo... Vittoria o morte ». Sembra che non possa risuonar nota più alta; eppure lo strazio della patria ne suggerisce più alte e più appassionate ancora ad un altro poeta, il poeta martire della lotta per l’indipendenza. Rakovski aveva ammonito, Slavejkov esaltato e incitato, Botev diede con la sua poesia e la sua morte — così strettamente, indissolubilmente legate — uno di quegli esempi che la storia di ogni popolo segna a lettere d’oro per le generazioni venture. Natura tempestosa, si può dire che piuttosto che scrivere i canti che gli gonfiavano il petto, egli li realizzò nella propria vita tempestosa ed eroica, modello ma insieme mirabile compendio degli eroismi tutti dell’intero popolo. I canti che Botev scrisse, altissime effusioni di lirismo patriottico, furono coronati dal suo canto più bello : la morte. « Chi cade nella lotta per la libertà, quegli non muore; lo compiangono e terra e cielo, belve e natura >ed i poeti cantano in sua lode ». Così Botev * 11 *