Cittadini e popolari. 335 bravacci e prepotenti, che non hanno altra mira che di rendersi formidabili e temuti, e che senza una precisa ragione attaccano bene spesso liti sanguinose. Le donne del bassissimo popolo non passano per troppo onorate. Nei giorni festivi, questa gentaglia va anco al teatro comico, ma ella frequenta assai più i casotti quando è carnovale. L’avvedutezza e la furberia sono proprie di questa classe, la quale cerca sempre di trappolare chi a loro ricorre e segnatamente il forastiere. Fanno uso tra di loro per tale oggetto del gergo ossia lingua furfantina, eli’ è di più specie. La prima, eh’ è conosciuta anco dal popolaccio nel rimanente della Italia, è un parlar per figura, allegorico, e spesso simbolico. Per es. al cappello dicono fungo; alla spada, la pungente; allo zecchino, occhio di civetta; al ducato, la zampa; alle mani, le cere; agl’inesperti, gonzi; al far all’ amore, micheg> giare, ec. Altra specie di gergo è la trasposizione della metà della parola, come p. e. amico, micoa; ladro, drola; cane, neca; mangiare, giareman ; ec. Oppure pongono dopo la prima sillaba, un’altra sillaba stabilita, come p. es. pa, facendo perciò di divoto, clipavoto; di bravo, brapavo, ec. Ancorché il meccanismo di questi ultimi gerghi sia chiaro e facile, pur sanno parlarli coloro con tal prontezza e rapidità, che a chi non ne ha gran pratica riesce impossibile di capirli. I vizi sommi di quasi tutta questa classe sono in assoluta opposizione col loro zelo per gli oggetti religiosi. E siccome questi popolari sono ignorantissimi, cosi credono che basti soddisfare alla religione col portare agnusdei o reliquie o crocette in dosso, colla osservanza dei digiuni, col-l’intervenire alle sacre funzioni, e fare grandi sberrettate alle immagini sante che incontrano per le vie. Sono poi bestemmiatori solenni, e ciò perchè il ritengono qual prova del loro grande coraggio, mostrando così non temere la stessa Divinità. Per quella indegna gente il