L’AZIONE ITALIANA IN MACEDONIA Alla fine del 1915 la situazione generale nei Balcani si presentava densa di minacce e di incognite per l’Intesa: la Serbia invasa; la Romania esitante; la Grecia ufficialmente neutrale ma in sostanza ostile; la scheletrica Armata d’Oriente ridotta a Salonicco ed intenta a rafforzare e raffittire le linee di difesa per non correre il rischio di essere ributtata in mare. Alla metà di febbraio del 1916, poi, mentre giungevano notizie sempre più allarmanti di apprestamenti offensivi bulgari nella piana di Monastir, due Corpi d’armata greci si concentravano, in assetto di guerra, nei pressi di Salonicco, ai fianchi ed alle spalle del generale Sarrail. Se non si voleva, quindi, che l’impresa interalleata in Macedonia subisse la stessa infausta sorte di quella dei Dardanelli, bisognava che l’attenzione dei governi e degli Stati Maggiori dell’Intesa convergesse su quel lontano settore, che appariva in quel momento uno dei più delicati, se non il più delicato, di tutte le fronti. L’offensiva tedesca contro Verdun, però, sopravvenne a rendere impossibile qualunque distrazione di forze dalla fronte occidentale, dove Falkenhain giocava la sua più grossa partita: si fecero allora più insistenti le premure all’Italia, per l’invio di nostre truppe in Oriente. Questo invio era stato più volte sollecitato dalla Francia, la quale molto sperava nel concorso italiano per poter dare all’esercito d’Oriente un’efficienza tale che gli consentisse di uscire dalla immobilità cui era costretto. Sul contingente inglese, infatti, poco il Sarrail poteva contare, date le direttive del governo inglese, contrario a correre il rischio di una nuova avventura in Oriente; nè po tevasi fare molto assegnamento su quelle truppe serbe che, riordinate