LA DAMA. 67 Quanto ni la lettera del patrizio, rispose In dama, eccola quìi. Mi 1’ ho domandadn per lezerla e quel vecchio stolido no se ricorda più n sta ora nè quello che la dise, nè gnanca chi glie I’ abbia dada. Quanto ni segretario, lo manderò a chiamar, c ghe darò ordine sotto pena della mia colera de dir tutto quello che vorrò mi. Io mi trovava molto imbarazzato. Credetti che il mezzo migliore per tornii alla servitù di tale anticaglia, che secondo me avrebbemi reso ridicolo, fosse 1’ ostinarmi a non voler alterare la mia condizione; e sopra ciò mi dichiarai fermissimo. La dama sospirava e cercava persuadermi, mostrandomi il pericolo di qualche ombra al suo altissimo decoro. Finalmente ella sciamò: Ogni disuguaglianza amove uguaglia, eh’ el mondo diga pure quello eh’ el voi, vu sarè cl mio braccier. Me despiase che nelle nobili società, nelle quali praticheremo, no sarè tratta co quel riguardo che mi ame-rave. La dama, ciò dicendo, mi fece cenno affettuoso che io seder dovessi al suo fianco sul sofà. Suonò il campanello, e beemnio insieme il cioccolate. Poscia mi disse eh' ella voleva passar meco il resto del giorno, e che mi fermassi a pranzo. Io era tanto confuso, che non sapeva cosa mi dicessi e facessi. La dama ordinò ad un cameriere di recarsi a mia casa ad avvertire che io stava a pranzo fuori. Si annunziarono visite, ed apparvero alcune giovani damigelle con dei giovani patrizii, congiunti della mia dulcinea. Mi guardarono attentamente, e la mia ninfa non tardò a dir loro la scelta che di me aveva fatta. Risero un pochino tutti. Si passò al giuoco contro mia volontà. In Venezia non si può praticare in una casa, senza dover soffrire