Don*’ A.yna. 271 recai con essi in Cundia sopra alcune galee annate a nostre spese alla difesa di ciudi’ isola assalita con formidabile armata dagli Ottomani, della qual isola questi fieri nemici della cristianità aveano progettala la conquista a danno della veneta repubblica. Sapete altresì, o signori, e parte ve ne descrissi, i tentativi immensi e idoli accanili combattimenti per impedire lo sbarco di quell’oste numerosa. Noi potemmo farlo ritardare, ma sfortunatamente non impedirlo. Una sera che fra varii giovani amici discorrevasi della incerta riuscita di quella perigliosa e lunga guerra, a cui prende vivissimo interesse tutto 1’ occidente, un valoroso cavaliere francese, pieno del foco di sua nazione, progettò uno sbarco da farsi dalle nostre schiere sulle poco lontane sponde egizie. Egli riteneva, ciò operando, o di far diminuire l’armata nemica che spedirebbe colà un soccorso, o di recar spavento a'munsulniani per 1111 tanto inatteso ardire. Tale proposta, assoggettata a’senili ed esperii comandanti veneti, fu giudicata non ammissibile. Ci fecero que’sag-gi con estensione vedere le difficoltà, il pericolo e il quasi certo nessun vantaggio. Ma noi giovani ognorpiù accesi la mente per quel rifiuto e pieni di chimeriche illusioni, ritenendo con fermezza che dalla indicata impresa cogliere se ne dovessero assoluta-mente salutari effetti,non fummo persuasi del prudentissimo consiglio. Padroni, come ausiliari, di noi stessi e delle nostre galee, con una rapidità senza pari ponemmo in ordine tre di questi legni, ed a dispetto delle ammonizioni dei capitani, partimmo da Candia e volammo alla fissala impresa. Fu buona sorte che nessuna galea nemica in quella traversata c'incontrò. Giunti pria che sorgesse il giorno, sbarcammo alcune miglia lontani dal porto di Alessandria ed a vista di un picciolo castello circondato per metà da un angusto canale di acqua di mare. Era quello perù un luogo di deli-