Maschere. 223 Sono infinite poi le bizzarrie del basso popolo. Uomini vestili da donna con enormi pance, che urlano pei mali del parlo, e la mammana che gli assiste col cristere in mano. Altri che portano piatti di fritelle o di crema di latte, e ne danno alla canaglia. Molti si fanno tirare in alcuni plauslri o piccole carrozze, tutte coperte di ornamenti vaghi e strani. Chi cammina sui trampoli. Chi veste da guerriero, chi da contadino, chi romano, chi greco, ec. Altri imitano le professioni, come marinai, cuochi, fioristi, ec. Chi appare vestito da donna tenendo fra le braccia cani o galli o polli o scimie fasciate, che chiamano figli. Chi viene con gabbie di uccelli, entro cui stanno le meno adattate cose; chi suona campanelli per far più vedere la stravaganza dei loro vestili, indossando in capo sporte per cappelli, insalata per piume, ec. ec. La quantità delle maschere in Venezia è tanta, segnatamente sul finir del carnovale, che ingombra la merceria, le procuratie, e le vicine strade in forma che a molto stento si passa. La piazza vista dai balconi delle procuratie, pare un prato densamente smaltato di fiori che si muovono. Tanto sono universali le maschere, che bene spesso veg-gendomi quasi spio in mezzo a tantissime, come me ne vergognava, e correva tosto a pormi in maschera. Divertivami però farlo senza fissa regola. Mi recava poscia in piazza e suonava un fischietto. Tosto una cinquantina di ragazzi mi venivano innanzi. Lanciava per aria un pugno di frutta secche e di confetture. Que’ biricchini si gettavano a terra, si pugnavano, si tiravano i capelli, chi perdeva la barretta, chi le scarpe. Rinnovava ogni tallio questo regalo, e se io mi divertiva, non divertivansi meno gli spettatori, che ad un tanto quadro si smascellavano dalle risa. Ciò che havvi di onorevole pei Veneziani, egli è che non va alcuno in maschera, senza empirsi le saccocce di 30