Cittadini e popolari. 333 cialmente allorché trattasi di acquistar nome di uomo di garbo e di conoscitore del mondo. Sono anco abbastanza politi e trattivi co’ forestieri. Ma 11011 conviene loro dar disgusti di sorta. La prima cosa che fate ad essi non aggradita vi fa perdere la loro amicizia. Sono irreconciliabili, e cercano a più potere di vendicarsi aspettando con pazienza e simulazione il momento di ben farlo. All’opposto nelle a-micizie sono caldissimi, e non badano ad arrischiare la vita ed a fare le coltellate per chi è giunto a godere della loro buona opinione. Convien guardarsi poi dall’ intervenire agl’ inviti di pranzo fatti da questi artieri e comodi popolari. Per un fasto, che io non so approvare, sopraccaricano la tavola di cibi. Cosicché se quel pranzo è per dieci individui, ogni piatto può servire, senza esagerazione, per trenta. E ogni cibo si taglia e trincia, ancorché tutti gl’ invitati rifiutassero quelle tali vivande. Ciò che incomoda molto alla polita persona che interviene a tali desinari, è che quelle buone genti vi sforzano a riprendere dello stesso cibo le due ed ancor più volte, e ciò con una tale insistenza e con tali ufficiose forme, che a grande stento si può rifiutare. C’è in Venezia il proverbio, che quando uno è invitato da tali persone, e segnatamente dai Cannareggiotti, dovrebbe munirsi di sette pancie. Vino eccellente e bottiglie pregiate al certo non ne mancano. E sono coloro contentissimi se veggono partire i convitali ubbriachi. Questo difetto sociale di voler che i convitati mangino e bevano fuori di modo, esisteva già in antico presso i Romani, e si diffuse anco per la Francia e l’Inghilterra nel medio evo. Alla tavola di questi popolari non ha luogo la menoma galanteria, ed una persona civile, se da quelli invitata, deve per politica molto guardarsene. Vale a dire non interessarsi giammai che le donne loro sieno distinte o per prefe-