Dosn' Ansa. 273 ino fra’compagni. Piccola fu la perdita di gente da noi sofferta. Ma con tutto questo non potemmo evitare i titoli di pazzerelli e d’imprudenti ; e, debbo confessarlo, ce li meritavamo. E cosi chiuse Don Carlo la breve sua narrazione. IV Ma rechiamoci ora nel palazzo dei Soranzo, prima che il cavaliere spaglinolo esca da quello dei Vendraniini. In un piccolo remoto, ina elegantissimo gabinetto di quel palagio dei Soranzo, dove un ampio e ricco appartamento era stato destinato per alloggio di Don Carlo, al lume di argentea lampada pendente dal-soffitto si vedeva accosciato all’ uso orientale sopra un tappeto di lana tinto 11 variali colori 1111 nero schiavo. La sua fisonomia dimostravalo alquanto avanzato negli anni ; ma pure i suoi occhi conservavano un fuoco giovanile estraordinario. Questi occhi stavano fissi e spalancati verso una giovine donna distesa sopra ad un sofà o divano, la quale, anziché dormire, andava smaniosamente movendosi. Sembrava che questa creatura desiderasse e chiedesse qualche ristoro dal sonno che negava scendere ad appagarla. — Azemal tu inutilmente implori il benefizio del sonno. rz Si, è vero;rispose quella sospirando. — Azemal Azemal io leggo nel fondo più oscuro del tuo cuore. — Mustafa! lasciami a me stessa. — Non posso pensare che a te. Da fanciullo fui comperato da tuo padre. Io fui uno degli eunuchi destinati al servigio del suo Harem. Tu crescesti pressoché sotto a’miei 36