230 Giovedì grasso. ancor là si veggono. Allora un uomo, per lo più marinaio, scende lungo una corda, che sta attaccata da una parte all’attico delle campane della torre di san Marco, e dal-1’ altra ad una delle dette due colonnette. Ciò dicesi fare il volo. Il volatore sparge alcune poesie per l’aria mentre scende , e porta un mazzetto di fiori al Doge. Indi ritorna all’alto del campanile. Nella corda stanno infilali due cannotti di legno, a cui il volatore tiene fisse le mani. Ciò toglie che per quel lungo atrito esse mani non si scortichino, e che col volgere un poco dei cannotti l’uomo a piacere si fermi. Sgraziatamente in questi ultimi tempi a me ricorse un falegname per essere preferito al concorso del volo. M’interessai e lo resi soddisfatto. Ma egli fidandosi nella grande callosità di sue mani, rifiutò l’uso dei cannotti. Alla metà del suo corso egli precipitò, immergendo me in grave afflizione. In antico questo volo eseguivasi con qualche diversità. La corda era attaccata alla base di pietra sotto l’angelo che sta in cima al campanile. L’altra estremità pro-lungavasi fino ad un albero di vecchia fusta o galera, che stava al molo dirimpetto alle due grandi colonne. Il volatore partiva dalla fusta ed ascendeva. Giunto al piede dell’angelo, vi si rampicava sopra, ed andava fino al diadema od aureola dell’angelo, appoggiava poscia al diadema le inani e volgendo il corpo e le gambe per aria, faceva quella positura che a Venezia dicesi impalo. Tornava poscia nella fusta. Ma il grande ribrezzo, che recava la veduta di quell’impalo, fece che nel 1710 fosse variato il volo come sopra si è descritto. Eseguito il volo , il Doge si reca sotto al gran fì-nestrone del palazzo: ed allora su due anipii panconi che guardano detto palazzo, hanno luogo le rinomate forze dei castellani e dei nicolotti. Consistono esse in alte piramidi composte di circa trenta uomini ciascheduna, disposti