Ì96 Annetta Parlai colla povera, che ad un tratto intese quello che io voleva. Ria mi fece delle difficoltà. ¡Vo perchè, sior foresto, ini disse, 110 sia disposta a servirla. Son donna che sa cossa ze el cuor untan. Compatisso tutti quei che sente amor. Mi ogni sabo (1) vado a domandar elemosina in quella casa; ma i me la manda per un vecchio servitor rabbioso come una bestia, e che no voi gnanca che parla e che me ferma un momentin. Le perone, co le vedo, le reverisso, ma gnente più. — Non conoscereste voi chi pratica in quella famiglia, e chi essermi utile in questa faccenda potesse? — Cognosso varie persone, che va in quella caso; ma le ze tutte parenti, e no me posso decider cussi alla presta. La gabbia (2) pazienza qualche zorno, e po la torna da mi. La povera avvertimmi che Annetta andava di festa in chiesa anche il dopo pranzo. Non mancai quindi di portar-mivi in quelle ore: però sempre collocandomi in modo, onde sfuggire possibilmente dagli occhi di sua madre. Annetta mi fece una domenica di mattina certi moti bizzarri. M’indicava il panco ov’era inginocchiala; e ciò più volte. Ma io non capiva nulla. Alla sera ella mi ripetè i medesimi cenni e parve come impazientarsi. Ma io già non sapeva intenderla. Scrutinai tutto il dì fra me, ma niente. Andai al riposo, ma sempre con tal pensiero; sicché stetti tutta la notte svegliato e con della rabbia a pensarvi sopra. Alla fine ritenni che nel pancone vi fosse qualche cosa. Il mattino addietro di buon’ ora corsi alla chiesa. Esaminai quel pancone, e più dove Annetta costumava prostrarsi. Quando nel vuoto sotto alla tavola, a cui si appoggiano le braccia, scopersi attaccata con molle cera una letterina, che presi colla maggior consolazione. (1) Sabato. (2) Abbia ella.