Donn’ Ansa. 287 no lasciò sfuggirsi un solo accento, che deplorasse la propria sorte per l'immeritato sofferto abbandono. Ma ciò che più recava inquietudine a sua madre era che Domi’Anna andava sempre più cessando dal favellare. Le sole occupazioni di questa sfortunata donzella consistevano nel coltivare i fiorì ed innaffiarli nel vicino giardinetto. Non di rado imprendeva qualche lavoro paziente, ma poscia abbandonavalo imperfetto, e pareva che più non se lo ricordasse. Talvolta leggeva: ma sembrava furio per puro meccanismo, non sapendo poscia render il menomo conto di quello aveva letto. Custodiva però con attenzione in un’ ampia gabbia alcuni aurati canarii, di cui si godeva mirar gl' innocenti amori, il covar delle ova, ed il nascere della piccola delicata prole. Allorché loro recava colle proprie mani il necessario nutrimento, ella alquanto sorrideva, mirando tutti que’grati augellini correrle incontro, e svolazzar ebbri di gioia verso la benefica loro signora. Cambelia, addolorata moltissimo per sì grande disgrazia, disegnò di tornare nella Spagna. Ma poscia faceva riflesso allo stato misero di sua figlia che peggiorar poteva per un lungo c rischioso viaggio. Il patrizio Yendramin, consigliando Cambelia a rimanere in Venezia, le offerse con sincera amicizia stabile alloggio nel suo palazzo. Il Vendra-min faceva ad essa altresì osservare, che il ritorno di entrambe in Barcellona avrebbe destato grandi ciarle fra gli abitanti dì quella città. Tanto più che a Palermo, come si seppe ben presto, Don Carlo, dopo il formale battesimo di Aze-ma, aveva sposata la bella ottomana, e pur a Barcellona correva voce recar si volesse dove, possedeva le maggiori sue rendite. Cambelia conobbe ragionevolissimo quanto dicevole l'attempato patrizio; ed accettò la di lui cortese offerta con accenti di vera gratitudine.