CAPITOLO XXXIV. I TAGLIATABÀRRI. In una sera di festa sacra e sul principio dell’ ultimo mese dell’ anno io andava girando per una immensa folla di gente, sorprendendomi molto come il basso popolo veneto non si annoiasse mai del quasi perenne divertimento del suo paese, e come trasformasse a solo suo bagordo e chiasso le stesse pie e sante solennità. Quando notai polita persona che caniminavami dinanzi, la quale avea nel ferraiuolo dietro alla schiena un gran buco rotondo. Nel mentre che nel mio pensiero ne cercava la cagione, sentii vicino di me alcuni che ridendo dicevano: varda che a quel sior i ga tagià el tabarro ! I glie 11’ ha robà un bel tocco ! Stemo attenti a quel eh’ el dise quando el se ne accorzerà. Che bile eli’ el gaverà da aver! Mi spiacque molto sentire a deridere il danno non piccolo fatto a quell’ ignoto , e tosto avvicinatomi a lui, fecilo avvertito di quel gran buco. È inutile dire quanta ira lo prendesse scoprendo guastato in tal barbara forma un bel mantello nuovo di prezzo, e più udendo che alcuni del popolaccio lo deridevano. Egli corse bestemmiando a deporlo ad un vicino cafle. Guardai tosto il mio ferraiuolo, temendo per esso; ma per buona sorte era intatto. Camminai in seguilo con qual-