Sposa persiana. 179 come se la natura medesima scossa dalle enormi empietà, rompesse le proprie leggi? Il primo invece sosteneva, che le produzioni puramente basate sul meraviglioso non dilettano che una sola volta, perchè cessa tosto il piacere in chi ode, allorché si sappia come l’imbroglio o la catastrofe va a terminare. Ma dove trovasi in un lavoro la fatica e l’ingegno, sia per arte di eloquenza, sia per bell’ ordine del pezzo, sia per costanza ed eminenza di caratteri, e tutto questo colorato con una tinta di verità; allora tale lavoro e tale ingegno divengono la cosa che mai ti stanca, e per cui torni a mirare o ad udire o a rileggere quell’opera, ove li scopri. Dico ove li scopri, seguiva dir quello, benché bene spesso l’influenza dell’arte è tanto grande, che il diletto ed il piacere viene prodotto senza il bisogno di scoprire e di analizzare le nascoste e diffìcili molle che gli danno vita. E di questo ce ne porge esempio palmare fra le belle arti 1’ architettura ; ove pochi sono quelli che conoscono le proporzioni delle colonne, dei capitelli, degli architravi, fregi, ec.; eppure è universale 1’ ammirazione in chi vede un bello e ragionato edifizio. Disse infine, che lo scopo morale non può aver mai luogo che negli avvenimenti succedentisi con piena e chiara naturalezza o verisimiglianza. Se nelle teatrali rappresentazioni il castigo del colpevole succede per mezzi improbabili o portentosi, il reo uditore non si frena, perchè non può temere dell’ impossibile e ne ride. Non cosi se la punizione succede co’ mezzi i più naturali. Colui ben allora paventa che tanto o di simile possa a lui pure accadere. Concluse col dire, che il capo d’ opera del-1’ ingegno umano nelle teatrali rappresentazioni, ove vogliasi il castigo del vizio, consiste nel far che il reo medesimo, nel mentre inganna gli altri od abusa de’propri difetti, si conduca da se stesso e come senza accorgersene alla sua pena.