Il punto su cui, massimamente, dai rinunciatari italiani e dagli avversari stranieri del movimento nazionale e delle aspirazioni unitarie di Trieste, si batteva e si ribatteva, era quello della inevitabile decadenza economica del porto in caso di distacco dal complesso austro-ungarico. Replicavano gli irredentisti di Trieste che avrebbero preferito veder crescere l’erba in Piazza Grande, l’attuale Piazza dell’Unità, ossia la morte di ogni attività, piuttosto che continuar a sottostare ad un regime che insidiava la loro esistenza nazionale e soccombere alla marea slava. In fondo a questa fiera ritorsione della preminenza dei fattori morali sui tornaconti materialistici, da parte degli irredentisti adriatici, vi era, però, come la implicita ammissione di un possibile cataclisma economico nell’auspicato giorno della unione allTtalia. I socialisti furono gli assertori più combattivi di un determinismo economico irriducibilmente ostile alla redenzione nazionale della città adria-tica. Uno dei loro, anzi uno dei migliori di loro, che scontò nello sgomento della disperazione, a liberazione avvenuta, il precedente suo traviamento dall’irredentismo al socialismo anti-irredentista, Angelo Vivante, aveva addirittura costruito, prima della guerra, una specie di teoria marxista dell’anti-irredentismo (« Irredentismo adriatico », edizioni de La Voce). Il libro del Vivante, al suo apparire, sollevò l’indignazione degli irredentisti, tanto più perchè era stato stampato in Italia. Un’eco postuma di questa vibrante indignazione è dato di sentire nelle parole di Attilio Hortis, l’umanissimo umanista triestino, che non avrebbe mai ferito una persona, mentre era intransigente nella fede nei destini nazionali. Ricordava, infatti, nel Piccolo della Sera del 22 febbraio 1929, in una puntata dei suoi « Colloqui con Attilio Hortis », uno studioso triestino (c. f.) che in data 11 novembre 1920, conversando egli con l’illustre patriotta e senatore del Regno delle opere sull’irredentismo, l’Hortis venne a parlare del libro del Vivante che definì «una cattiva azione, scritto in mala fede, da un pazzo per eredità materna ». L’Hortis gli contrapponeva il mio opuscolo su La fortuna economica di Trieste e i suoi fattori, che, uscito a Trieste prima della guerra, nel 1913, fu il primo e l’unico scritto, il quale apertamente, sotto l’Austria, proclamasse, e con ragionamenti