276 Parte I • Considerazioni di oggi. nel servire questo ideale, i triestini israeliti si distinguevano per ardore, per tenacia e per ardimento. L’irredentismo ebbe negli israeliti campioni purissimi. Nella guerra di liberazione, numerosissimi e valorosi furono i volontari di religione ebraica. Fra gli ebrei venuti di fuori prevaleva una simpatia evidente per gli italiani, salvo qualche esigua eccezione. Ebrei slavi, praticamente, non esistevano a Trieste. Gli ebrei polacchi che, durante la stagione dei cedri, arrivavano a Trieste nelle loro caratteristiche acconciature — caftani, tubini, riccioli — erano oggetto, per il loro curioso e non troppo pulito aspetto, di commenti ironici e di sorrisi piuttosto schernitori da parte, non meno, dei ragazzi israeliti, che di quelli cattolici. Fra ebrei e non ebrei la vita scorreva in piena armonia; tutti erano e si sentivano, semplicemente, triestini ed italiani (‘). Qualche volta, ma assai di rado, vi sarà stato uno spunto o un commento circa la differenza di religione, ma si trattava sempre di osservazioni veramente insignificanti e trascurabili. Il rispetto era reciproco. Solo negli ambienti austriacanti si facevano delle riserve verso gli israeliti, che però, se avevano (1) Recensendo un lavoro di Riccardo Curiel su « Le origini del Ghetto di Trieste », la « Porta Orientale », la bella rivista dei volontari giuliani e dalmati così scriveva: « Niente atmosfera di tragedia in questo sereno studio di Riccardo Curiel, ma un’aria di bonomìa alle volte leggermente ironica. Infatti, la vita degli ebrei a Trieste non fu mai troppo aspra e difficile, neanche nel periodo oscuro in cui la persecuzione infieriva dappertutto contro il popolo d’Israele. E tutta questa storia del Ghetto di Trieste è soffusa di una mezza luce di commedia nel dialettico torneare fra i signori della città e i rappresentanti degli ebrei, che alla fine — pur dovendo subire la segregazione del Ghetto — hanno la meglio, perchè si scelgono quasi da soli la località e poi lentamente, senza chiassi e senza rumori, se ne allontanano un po’ alla volta e ritornano a vivere frammisti alla popolazione cristiana. In fondo questa tolleranza liberale di Trieste verso gli ebrei — lealmente riconosciuta dal Curiel — risponde ad una ragione di vita della città, nella quale gli ebrei affluiscono da tutte le terre portandovi il loro fervido spirito di iniziativa — e dei commerci e delle intraprese economiche di Trieste gli ebrei sono sempre al centro, dinamici iniziatori. Non trascurano, no, anzi, i loro interessi, ma poiché questi quasi sempre collimano con l’interesse della città, Trieste dall'afflusso degli ebrei trae indubbio vantaggio per la sua potenza economica. Il rapporto Trieste-ebrei è dunque nutrito di profonde ragioni materiali che, coll’andare degli anni, assumono anche carattere ideale, così che poco più di un secolo dopo le diatribe sul Ghetto vedremo gli ebrei difendere l’autonomia del Comune, e poi più tardi molti giovani israeliti vedremo morire in guerra, sulla via di Trieste italiana ».