218 Paute I - Considerazioni di oggi. E, grande diplomatico e Ministro degli esteri italiano, lo Sforza..., malgrado fosse stato alla scuola di San Giuliano. Ma ascoltiamo, ancora per qualche istante, le sue parole, improntate sempre a grande sufficenza (pag. 61) : « Il più alto titolo del barone Aehrenthal è cbstituito dallo sforzo leale che egli fece per creare un’intesa sincera fra il suo paese e l’Italia, sforzo di cui nessun altro Ministro degli esteri di Francesco Giuseppe aveva compreso la possibilità. Se, malgrado le differenze di età e di situazione ufficiale, egli si lasciava spesso andare con me a delle confessioni e a delle confidenze, alle quali egli era di solito poco incline, ciò si deve all’aver egli sentito in me idee analoghe alle sue per quanto concerneva i rapporti dei nostri rispettivi paesi con la Germania. A quell’epoca io non avevo avuto che due volte occasione di essere mischiato all’azione politica a Roma stessa : nel 1906, quando, dopo Algesiras, divenni capo di Gabinetto del conte Guicciardini, e nel 1910 quando compii le medesime funzioni presso il marchese di San Giuliano. Come tutti gli italiani aventi senso di responsabilità politica, io ero un partigiano leale della triplice alleanza: la triplice non era una cosa perfetta, ma assicurava la pace, e ciò era abbastanza. Del resto, anche in Francia, si sarebbe allora pensato due volte prima di deliberatamente rompere l’equilibrio esistente, se un miracolo avesse messo la situazione nelle mani del Quai d’Orsay. Noi sapevamo bene che noi non potevamo cambiare Vienna e che bisognava prenderla così com’era se noi volevamo conservare la pace in Europa; ciò che sembrava intollerabile — a me e ad altri giovani che la pensavano come me — era che Berlino cercasse di eliminare le frizioni fra Roma e Vienna — ma solo fino ad un certo punto. Non si era malcontenti, a Berlino, di poter minacciare Roma con Vienna e Vienna con Roma. Invano gli attori cambiavano sul teatro della Germania imperiale: la regola istintiva restava in vigore, che a Roma ci fosse Monts o Jagow; che a Berlino ci fosse Bulow o Kiderlen o Schòn; io non menziono Bethmann-Hollweg, giacché egli aveva il dono di chiudere gli occhi dinanzi a tutto quanto poteva spiacere a lui, che era un uomo in cui l’onestà era uguagliata solo dalla debolezza.