La guerra, Vintervento e la pace. 405 Ha ricordato opportunamente (nella Gazzetta del Popolo del 4 febbraio 1933) il Maresciallo dTtalia Enrico Caviglia: « Al principio dell’estate del 1918 il signor Benés dichiarava ad un giornale italiano essere impossibile un’insurrezione in Boemia, che avrebbe dato luogo ad un inutile massacro. L’insurrezione boema sarebbe stata possibile solo dopo che l’esercito austro-ungarico avesse ricevuto una decisiva sconfitta. Egli riconosceva, allora, che la sorte dei popoli, detti oppressi dallo Stato austro-ungarico, dipendeva unicamente dall’esito della guerra italo-austriaca. Se l’Italia, in un momento qualsiasi del 1918, avesse fatta la pace separata con l’Austria - Ungheria, tanto l’azione di Masaryk e di Benés, quanto le dichiarazioni dell’Inghilterra, della Francia e degli Stati Uniti d’America in favore dei popoli oppressi sarebbero diventate delle belle e colorite l’Austria dovesse soccombere; non poteva, in quel momento, parteggiare se non per la Serbia contro l’Austria; ma è pur vero che quell’articolo non ha una parola che possa, comunque, significare rinunzia alle perenni aspirazioni adriatiche dell’Italia. D’altronde in quello stesso numero, come sempre, Videa Nazionale portava fin anche sulla testata la dichiarazione dell’integrale programma di quelle rivendicazioni, Dalmazia compresa, che ebbero nel fulgido pensatore ed eroe triestino, Ruggero Fauro, uno dei più fervidi e costanti propagatori. L’Adriatico dell’Italia fu l’ideale di tutta la sua vita. Rivendicazioni integrali, affermate in libri che rimangono monumento indelebile del suo genio precoce, troppo presto troncato, popolarizzato in cento conferenze, attraverso cento comizi durante la lunga travagliosa vigilia della guerra; riaffermate nelle sue lettere agli amici, pochi giorni prima di cadere sul campo, trasmesse a noi, suoi fratelli, di fede, come il testamento del suo spirito veggente nell’avvenire, come la volontà invitta della sua anima immortale! ». In un altro discorso, replicando alle dichiarazioni del Ministro degli Esteri on. Sforza, lo stesso on. Luigi Federzoni, nella seduta del 19 marzo 1921 (Cfr. anche Federzoni : « Il Trattato di Rapallo », Bologna, 1921, pag. 192), esaminando la pessima soluzione escogitata per Fiume, aveva detto profeticamente: « Mi sia lecito dire una parola di obiettività sull’opera vostra. Voi avete continuato nel Gabinetto attuale una politica estera di così dette idee larghe, il cui programmatismo europeo non era e non è che l’alibi per mascherare una desolante mancanza di contenuto italiano. Vi sono frasi sulla necessità che l’Italia sacrifichi le sue aspirazioni al fine superiore di un’Europa tranquilla, sull’opera di moderazione e di mediazione che il nostro paese dovrebbe esplicare, sulla convenienza di ricostituire nella Russia un elemento integrante del riordinamento dell’Europa, frasi che ci fanno l’effetto di echi stanchi di altre frasi simili che noi non abbiamo dimenticate... L’esperienza costernante di oggi prova a tutti, agli uomini di tutti i partiti e di tutti gli apriorismi, la conclusiva nullità di un tale indirizzo di politica estera... Già oggi Camera e opinione pubblica sono concordi nella riprovazione di un tale