312 Parte I - Considerazioni di oggi. delle città sono finora immutate. La marea invade a preferenza i campi, mentre gl’italiani si mantengono compatti nei grossi centri. Nell’in-terno dellTstria varie città sono già come delle grandi fortezze investite dall’invasione, ma verso il mare, ininterrottamente lungo le rive, dove si accumulano i tesori meravigliosi dell’arte, della cultura e della storia italiane, l’italianità è incontaminata, piena, generosa, ardente, e fieramente combatte per la sua vita millenaria. Dietro gli slavi invadenti gravita il peso di tutta l’immane massa slava dellTmpero con le sue organizzazioni sociali e finanziarie, con la sua sete di conquista. Dietro agl’italiani non c’è nessuno e non c’è niente. Essi sono soli col loro diritto. Ma non avrebbero nulla a temere per la esistenza nazionale se contro di loro non operasse tutta la formidabile macchina dei poteri politici. Che cosa si vuole? La stampa dei partiti dominanti lo dice senza ambagi e senza veli : far sparire l’elemento italiano in quelle regioni, come nella Dalmazia fu fatto sparire dalla « saggia politica » dei governanti. La stampa slovena lo ripete a gran voce. A Trieste stessa VEdinost, organo sloveno, ha stampato : « Noi non desisteremo finché non avremo sotto i nostri piedi, ridotta in polvere, l’italianità di Trieste. Non cesseremo finché non comanderemo noi a Trieste, noi, sloveni, slavi ». Il programma è non soltanto attuato ma è confessato e proclamato. Si è giunti alla fase brutale ed epica della lotta. L’italianità, che ha tutti contro, non vuol cedere, non vuol morire; sotto al possente ginocchio dellTmpero essa trova forze incommensurabili di resistenza nella profondità della sua coscienza nazionale, nell’orgoglio del suo passato, nella speranza della salvezza. Da quindici secoli essa costituisce un baluardo della latinità, la difesa avanzata della civiltà romana, e non può venire distrutta senza che l’equilibrio delle razze si rompa e il flusso slavo passi dai confini etnici a portare il suo impeto sui confini politici del mondo latino. Non è questa una lotta naturale di nazionalità. Si comprende che gli slavi premano e che gl’italiani resistano, ma abbandonato alle sue forme sincere tale conflitto non avrebbe mai rappresentato un pericolo per l’italianità. Sono dodici secoli che gl’italiani e gli slavi si trovano a contatto senza che l’italianità sia mai stata minacciata, fino al giorno in cui il Governo austriaco pensò di adoperare gli slavi come un’arma per abbattere l’italianità. Strano ritorno della storia! Un duca Giovanni, che governava l’Istria e Trieste in nome di Carlo Magno, non potendo domare i comuni latini, pensò anche lui di adoperare gli slavi, e incominciò a gettare sui territori comunali le prime tribù slovene, selvagge e devastatrici. Ma gli slavi finirono per fermarsi ammirati e domati avanti alla civiltà italiana come avanti ad una fiamma, e vi si scaldarono. Simili al leone di Androclo, dopo il primo ruggito e il primo balzo, si avvicinarono sottomessi a chi doveva essere la loro preda. I piratae de Carsis diven-