L’imperativo irredentista degli Asburgo. 313 nero i coltivatori dei campi. In seguito, durante due secoli, Venezia ha chiamato slavi dalla Dalmazia, dalla Bosnia, dal Montenegro, per ripopolare l’interno dell’Istria, devastato dalle pestilenze della malaria. Queste popolazioni gravitarono come satelliti intorno all’italianità, che trasformava, fondeva e assorbiva tutti gli elementi slavi che i bisogni crescenti dei commerci chiamavano nelle città. Italianizzarsi fu l’ambizione degli slavi più autorevoli. La forza assimilatrice della cultura italiana irradiava lontano. La lotta attuale sarebbe sembrata inverosimile. Fu nel 1866 che essa ebbe inizio. In un’epoca in cui il sentimento della nazionalità tedesca era appena in formazione e quello della nazionalità slava era imprevedibile, il Governo austriaco vide nello spirito di nazionalità italiano l’elemento di maggiore preoccupazione e combattè in esso il principio delle nazionalità, non accorgendosi di favorire cosi il panslavismo, ben altrimenti pericoloso. L’anti-italianismo è rimasto una tradizione più o meno costante di governo. Il solco era tracciato. L’italiana doveva restare la cenerentola delle razze. Contro di essa persistono i livori e i rancori lasciati da tutto il rivolgimento politico dal quale l'Italia è sorta. La persecuzione per mezzo degli elementi slavi cominciò appena l’Austria perde Venezia. In quell’anno il Luogotenente Kellersberg scrisse che i più grandi interessi dello Stato consigliavano di favorire a nel modo più energico » gli elementi non italiani. La formula di governo per le province italiane era trovata. Per comprendere la situazione attuale dobbiamo dare uno sguardo al passato. Non ci soffermiamo a dire con quali frodi, tre anni dopo, alle elezioni dietali del 1870, fu sconfitta l’italianità in Dalmazia, non raccontiamo i famosi scandali elettorali di Sini, il massimo distretto dalmata, dove la votazione fu prolungata per otto giorni perchè non si riusciva a raggiungere la maggioranza croata, dove le liste erano piene di morti, dove due compagnie di cacciatori tirolesi furono chiamate a scacciare con le baionette gli elettori italiani che, trattenuti dall’ostruzionismo, si ostinavano anche dopo otto giorni a voler votare, dove il presidente governativo della commissione elettorale fu sospeso telegraficamente perchè manteneva l’ordine ed evitava la frode, dove due impiegati governativi furono traslocati perchè avvisarono il commissario di polizia che si perpetravano irregolarità, dove lo spoglio e il computo dei voti si faceva nell’abitazione di un capo croato. Sono cose ormai antiche. Le varie elezioni che hanno dato la Dalmazia ai croati sono un crimine di lesa civiltà. È però certo che da allora la lotta contro l’italianità non è stata in tutti i tempi combattuta con eguale asprezza. Per qualche periodo è sembrato che un senso maggiore di equità o di stanchezza subentrasse ai primi furori, di fronte alla vitalità dell’elemento nazionale italiano. Ai luogotenenti implacabili, come lo Jovanovich, sono succeduti uomini meno parti-