Contro le prepotenze austro-slave. 575 svoltisi, alla reazione cittadina, al ferimento del Miazzi e del Morterra, ai quali l’assemblea manda un fervido saluto, e al contegno delle autorità. La città s’è sentita oltraggiata da quei fatti ed è rimasta per un momento profondamente avvilita; le parve di sentirsi sola e guatò all’orizzonte più mani stendersi verso di noi e udì mille voci alzarsi in nostro favore. Erano voci fraterne, che venivano da Venezia e da Palermo, da Milano e da Roma, da Firenze e da Ancona, da ogni luogo delle cento belle città d’Italia (applausi vivissimi). Dicevano quelle voci a noi: Fratelli, la vostra anima è la nostra anima, la vostra carne è la nostra carne, la vostra voce è la nostra, se voi soffrite, noi soffriamo, se voi fate costà il vostro dovere, noi sappiamo e vogliamo fare qui il nostro (applausi entusiastici). « Fratelli, salute a voi, noi diciamo — continua l’oratore — a voi figli, gloria, orgoglio, gioia, fortuna, avvenire e presente d’Italia, l’animo nostro si ricompone alla vostra voce, l’anima nostra sente e palpita con la vostra anima, insorge in armi e spera, (applausi fragorosissimi, altissimi evviva) spera e guarda al domani e lo prepara ». L’oratore continua rilevando come gli slavi il Io maggio avessero ancora una volta palesemente dichiarato a noi la guerra, come alle delegazioni si fossero sollevate le proteste contro l’ingerenza del Governo italiano nella politica interna dell’Austria. Ora, se non si vuole che i nostri nemici s’impadroniscano della nostra città, bisogna accettare la guerra e accettarla vuol dire saperla combattere e voi sapete — dice l’oratore — che prima legge di ogni guerra leale è che chi con la parola o col gesto, con l’aiuto materiale o morale soccorre l’avversario, tradisce la Patria (approvazioni, applausi). E se questa è legge ferrea quando il nemico è fuori di casa, è legge che deve essere rigorosamente osservata quando il nemico è in casa (applausi). Voi dovete sapere che per combattere occorre l’opera di tutti e se questa richiede sacrificio e operosità, sappiate che la storia non conosce sacrificio come il nostro che non sia stato coronato di successo. La Patria questo vi chiede e ciascuno di voi quanto può dia alla Patria; soltanto da questa cooperazione di tutti la Patria potrà assorgere alla luce ideale verso la quale essa oggi si solleva, si aderge ». Il discorso del dott. Tamaro raccoglie applausi calorosi, entusiastici, unanimi. Mario Alberti, salutato al suo presentarsi da applausi, rileva che i giornali di Vienna, commentando in questi giorni le dimostrazioni nel Regno e mettendole in relazione col comunicato ufficiale del convegno eli Abbazia (fischi), dicevano che gli italiani dell’Austria sono una quantità trascurabile e che dovevano adattarsi alle esigenze della politica dello Stato e rassegnarsi al loro destino. Noi non ci rassegniamo dinanzi a nessuna necessità — proclama l’oratore — dinanzi a nessuna ragione di Stato. Noi siamo italiani! (applausi vivissimi).