La resistenza e la rinnovazione del porto di Trieste. Da un terremoto bellico che ha cambiato gli aspetti e modificato i rapporti nella maggior parte dell’Europa centrale, Trieste, emporio naturale di un sistema imperiale, è uscita — per virtù di sua posizione geografica, in grazia della vigile sollecitudine della Madrepatria, per l’ardimento e la tenacia dei suoi abitanti, per la saldezza dei suoi pluridecennali contatti con le case corrispondenti e associate del retroterra e d’oltre mare — radicalmente rinnovata, pur continuando ad adempiere alle tradizionali sue funzioni di smistamento e di transito. Il porto che, situato all’estremo nord dell’Adriatico, rappresenta la più economica intersezione degli scambi fra il centro dell’Europa, il bacino del Mediterraneo e vaste zone dell’Oceano Indiano e del-VEstremo Oriente, ha visto il commercio in proprio grtidualmente cedere e concedere posto sempre maggiore al semplice transito (sia pur con manipolazioni, scelte, cernite e trasformazioni opportune nella zona doganalmente libera) da quando il « porto » è stato ridotto a « punto » franco ed anche prima. Onde si può quasi parlare di una secolare deplorazione per il decadimento del vero e proprio commercio e di una anche secolare sopportazione e tolleranza del crescente sviluppo del semplice transito. Solo, dopo che Trieste è stata ricongiunta politica-mente alla sua Nazione, si è manifestata più libera, più liberale, più larga la tendenza a quelle molteplici concessioni di stabilimenti autonomi e doganalmente autarchici ai diversi Stati del retroterra nelle zone franche del porto, onde questo ha potuto e, meglio, potrà, quando le condizioni internazionali diventeranno meno sfavorevoli, riassurgere a realtà di movimenti di « porto » franco, come agli inizi delle sue fortune economiche. Ma, punto franco sempre più vasto e meglio dotato, sempre più largo in tutte le facilitazioni delle manipolazioni in assoluta franchigia Dal « Sole » del 6 dicembre 1935.