Come si diventava irredentisti 55 i croati si battono come leoni per l’Austria contro i serbi, lo vorrei che lei si limitasse al passato e dicesse soltanto che una volta — al tempo del Risorgimento — i croati erano felici di esser sudditi dell’Austria tedesca. Ma il croato vedeva allora nell’Austria tre cose: lo Stato, che per quattro secoli lo aveva difeso dai Turchi, il rappresentante ufficiale e concreto di quel cattolicismo che aveva nella coscienza e si opponeva al maomettismo e all’ortodossia che gli si trovava di fronte, e infine la sola civiltà, la sola cultura, la sola organizzazione politica che poteva concepire. Al di fuori dell’Austria la sua coscienza politica non vedeva e non sentiva altro. Egli dunque non si sentiva che austriaco. Nella sua coscienza la nazione era sostituita dallo Stato. E ciò era logico e legittimo. Ma crede Lei, illustrissimo signor Console, che noi, italiani dell’Austria, ci troviamo proprio nelle condizioni storiche e mentali dei croati del ’48, mangiatori di patate e di sego? Crede Lei proprio che quella dell’Austria sia per noi la sola cultura, la sola civiltà, la sola organizzazione possibile per noi? Crede Lei che non abbiamo niente nella nostra vita civile oltre a quello che è contemplato nel prelodato I. R. Bollettino delle leggi dell’impero? Lei che sta a Roma, e osserva attentamente la vita del paese nel quale rappresenta S. M., sa che c’è una storia italiana, una tradizione italiana, una letteratura italiana, uno spirito, buono o cattivo, italiano. Insomma una nazione italiana. Ora l’italiano di Trieste sente anche lui in sè la coscienza della italianità e questa coscienza si aggiunge alla coscienza dell’appartenere moralmente allo Stato austriaco, e le si contrappone e la distrugge. Sa, in questi tempi regna uno spirito rivoluzionario — che io deploro insieme a Lei — per il quale, l’idea dello Stato sempre viene sopraffatta. Ma io ho la coscienza netta anche da questo lato, perchè, io non sono un anarchico spirituale e ho uno Stato del quale mi protesto devoto. Ed è lo Stato che realizza quella nazionalità che io sento in me. Lei ammetterà che è preferibile servire lo Stato, che viene da una storia di cui ci si sente un atomo e che realizza uno spirito nazionale che è il proprio, che non uno Stato che viene da una tradizione straniera e che è materiato — per esempio — di spirito germanico. Ma Lei mi mostra il ritratto di Francesco Giuseppe — coi favoriti bianchi e un’aria che ricorda Metternich — e mi dice che bisogna puramente e semplicemente servire lo Stato del quale si è sudditi. Non scherziamo, egregio signore. Non pensa Lei che s’io fossi nato a 30 chilometri — a volo di uccello, come dicono i comunicati austriaci — più ad occidente, io sarei cittadino italiano con tutti i diritti e doveri annessi e connessi. E vuole che per quei trenta chilometri la mia coscienza e la mia vita abbiano un altro indirizzo e un altro destino?