120 f Per molteplici concordanze che confermano l’esposizione di questo capitolo, ci piace riportare qui le considerazioni contenute a pag. 193 e seguenti del libro di Attilio Tamaro su «Trieste» nella Collezione delle «Storie municipali d’Italia» (Roma, 1930, Tiber): « L’Austria aveva già perduto la partita. Ma era così grande e militare Impero di fronte alla città, che avrebbe potuto trovare la rivincita gettandosi con tutte le sue forze sopra di essa e schiacciandola. Per fortuna d’Italia, a Vienna ci furono molti ministri e nessun vero uomo di Stato. E i tempi furono tali nell’Europa, che l’Austria, accusata senza tregua dinanzi all’opinione pubblica internazionale, fu trattenuta dall’adottare misure d’estrema violenza. Molti dei suoi uomini non credettero nemmeno alla efficacia di esse: la politica della mano di ferro aveva fatto pessima prova nel Lombardo - Veneto e, ignorandone il perché, stimavano opportuno di non ripeterla tal quale. Di più temevano (allora e poi) di dar essi stessi la prova che Trieste non si potesse tenere se non con leggi eccezionali. Il governo non seppe prevedere, nè prevenire: fu sempre ridotto alla repressione; la quale poi, di solito, ebbe forma di persecuzione. Non aveva programmi moderni e si faceva strappare pezzo a pezzo ogni concessione, avvalorando la convinzione, che ogni lotta dovesse avere successo. Al programma dei liberali triestini non aveva da opporne un altro egualmente efficace, perchè non avrebbe potuto trovarne uno più triestino di quello. D’altra parte, era contro il suo interesse il difendere la nazionalità italiana della città: quindi, o l’offendeva combattendola, o la contaminava provocando immigrazioni. Incapace di superare i liberali con le idee, lo era altrettanto coi fatti, poiché i suoi immediati rappresentanti e gli alti burocrati erano sempre meno intelligenti degli avversari italiani. Questi avevano un piano, che eseguivano con rigida conseguenza: quelli conformavano la loro azione agli episodi, di giorno in giorno. Di più, una parte della burocrazia cercava consolidare la sua posizione, facendosi un merito del perseguitare gli italiani. Nè gli aderenti del governo austriaco, nè i suoi ufficiali — neanche in quei primi tempi, ancora tanto favorevoli alle idee asburgiche — avevano nobiltà di passione, che potesse dare esempio agli incerti e ai grigi. Il governo era sempre o in ritardo o in parossismo. Se scioglieva una associazione a lui nemica, permetteva che risorgesse tosto con altro nome. E di solito si poteva osservare, ridendo, che l’aveva dissolta quando essa aveva già fatto tutto il danno possibile. Si sfogava a sequestrare giornali, ma non sapeva sopprimere la stampa, che lo