Hohenlohe e gli slavi. 249 degli scrittori irredentisti, i quali non possono dimenticare il contributo grandissimo dato dal principe alla loro causa e quindi 10 ricordano con una certa simpatia. Infatti «In una atmosfera di colpevole apatia — come scrive il Giuriati: La vigilia, Milano 1930, pag. 59 — i decreti di Hohenlohe produssero l’efFetto di una sùbita raffica in mezzo di un'afosa giornata estiva. Il gesto, nella intenzione, nella sostanza, e nella forma, era di una ostilità innegabile. Più che destinato a ferire qualche pur rispettabile interesse, il colpo era manifestamente diretto ad umiliare 11 nostro orgoglio, attentava dunque, in modo grave e flagrante, al patrimonio morale della Nazione. Il mondo politico fu messo a rumore». Lo conferma il Salandra, e lo reca come uno dei coefficenti morali che, allo scoppio della guerra, convogliarono ITtalia, fatalmente, lungo la via dell’intervento. «Dalla gioventù universitaria cominciarono — scrisse il Salandra (La neutralità italiana, Milano 1928, pag. 31) —, in quella agitata primavera del ’14, i maggiori strappi al gracile velario dell’Alleanza. Un Hohenlohe, luogotenente dellTmperatore a Trieste, aveva in quel tempo iniziata apertamente un’opera persecutrice della italianità e favoreggiatrice dello slavismo; e la proseguiva anche contrastando alle intenzioni e alle istruzioni del suo Governo e nonostante le critiche di una parte della stampa di Vienna. Si valeva del grande casato, delle altissime protezioni e della confusione dei poteri che — indebolita per la senilità clell’im-peratore l’unica potestà suprema — era tra i fenomeni più caratteristici della estrema decadenza della Monarchia. Grande rumore e agitazione in Italia cagionarono i suoi decreti dell’agosto 1913, per i quali fu imposto al Comune di Trieste e agli uffici dipendenti il licenziamento degli impiegati italiani che non avevano la cittadinanza austriaca. Il Governo italiano non potette disinteressarsene; ma, dopo aspre polemiche di stampa, si ottenne soltanto qualche temperamento nell’applicazione dei decreti e che non fossero estesi al Trentino: non la loro revoca». Se Corrado Hohenlohe, per qualche tempo ebbe, dai decreti, la soddisfazione di vedersi approvato e lodato dall’arciduca ereditario, attraversò poi, morto Francesco Ferdinando, dei