154 Parte I - Considerazioni di oggi. altezza di sentimento e di pensiero. La battaglia ha le sue alterne vicende illuminate da questa luce ideale. Nè al dalmata basta il lottare aperto chè, trasformato il vecchio Partito autonomista della Dalmazia in una avanguardia d’azione irredentista, tesse nell’ombra le sue trame ardite : opera nella « Lega nazionale», nella «Società politica dalmata», nei sodalizi che sotto le più varie apparenze ordinano la loro azione ad un unico scopo. A Roma, ove ogni anno si reca, allaccia rapporti segreti con la Consulta, ottiene i più ampii mandati della « Dante Alighieri» di cui diventa ascoltatissimo fiduciario, si guadagna la simpatia e l’amicizia di quei pochi, che negli anni del grigiore osano sognare la più grande Italia del domani. Vera figura di Capo passa immune tra i sospetti ed i pericoli : dominatore di una passione profonda, riesce a comporsi un’anima e un volto impenetrabili. Ordina. E’ obbedito in silenzio : in silenzio seguito per la rischiosissima via. Questo è l’uomo che sulla fine del 1914, esule dalla sua Zara, partecipa alla vigilia ardente della Patria, senza che l’I. e R. Polizia austriaca abbia piena coscienza del pericoloso individuo che s’è lasciato sfuggire. Ci vorranno, come s’è visto in principio, molti mesi ancora prima che essa riesca a « scoprire » che Roberto Ghiglianovich è stato per lunghi anni il condottiero dell’azione irredentistica in Dalmazia. E intanto egli avrà compiuto, a danno dell’Austria, gli ultimi, irreparabili guasti. Anche a Roma — del resto — la presenza del dalmata non è, per oltre un anno, che a conoscenza di pochi. Volontario nel R. Esercito sin dal settembre del 1915, incaricato di delicate missioni anche militari dal Ministero della Marina, a cui era stato aggregato, egli sentì altissimo l’orgoglio di aver indossato la gloriosa divisa del sodato italiano. L’anima sua, profondamente angosciata dalle tristi vicende guerresche del ’17 e da quel mostruoso e indecoroso compromesso che fu il «Patto di Roma», si riaprì alle più ampie speranze. Ma fu per poco. Dopo il trionfo di Vittorio Veneto, incominciò per l’Italia un più penoso calvario. L’ingratitudine degli alleati da noi strappati all’estrema rovina, aprì le porte all’irrompere dell’ipocrisia wilsoniana sulla quale furono giocate le più abili frodi ai danni