La fortuna economica di Trieste e i suoi fattori 429 rica: verso il 600 scesero in Italia, dalla Corintia, gli Slavi. Si ripeterono anche in seguito le invasioni rapinatrici di Slavi Vendi. E cosi rovinose depredazioni facevano e tanta prepotenza assumevano questi Slavi, che nell’anno 804, insofferenti di un tale vessatorio stato di cose, si radunavano presso Capodistria i rappresentanti delle città e delle castella istriane per dire alto e forte ai « Missi dominici » di Carlo Magno, l’indignazione delle popolazioni indigene contro il Duca Giovanni, che, reggendo il paese appunto in nome di Carlo Magno, permetteva le ruberie degli Slavi. Dinanzi alle fiere proteste degli istriani e dei triestini, il Duca Giovanni promise di cacciar fuori gli Slavi: « Nos eos eiciamus foras » — disse. E così fu. Ma novecento anni più tardi, per volere di principi, come ben osserva il De Franceschi, gli Slavi furono nuovamente condotti nelle terre istriane a dar noie all’elemento autoctono. Alla fine del secolo XIX ed all’inizio del secolo XX gl’intedimenti slavizzatori dei governanti furono efficacemente aiutati dalla tendenza e dagli sforzi di espansione degli Slavi di Carniola, di Croazia e di Boemia (*). Ma lasciamo da parte le incursioni e le immigrazioni slave per riprender a seguire le vicende economiche di Trieste. Dei commerci triestini sotto il dominio bizantino o sotto quello dei Franchi nulla d’interessante v’è a dire, fuorché essi ebbero danno non piccolo dalle devastazioni causate dagli Slavi e dagli Ungheri. Poi vi furono lotte aspre fra Venezia e Trieste (come ve n’eran già state fra Venezia, Genova e Pisa) gelose vicendevolmente dei traffici altrui. Ma ecco che rispunta il sereno sul cielo di Trieste: la città, riacquistata l’agognata indipendenza, si emancipa dalla potestà temporale dei vescovi; sorge (1) Trieste, dapprima latina, fu poi sempre ed è tuttora città italiana, anzi eminentemente italiana. A dimostrare il carattere italiano attuale di Trieste non è necessario portar prove: chiunque sia stato anche per un’ora soltanto a Trieste, ne conosce l’italianità vivida, evidente, ardente. In passato l’orgoglio del carattere romano della città non era meno vivo d’adesso : i triestini si vantavano d’essere « discendenti e imitatori dei romani»; nel 1523 il Comune di Trieste protesta: « cum latini simus, linguam ignoramus theutonicam » ; in un atto di Trieste al Governo (del secolo XVI) è detto che i triestini non hanno nulla di comune con i Carnio-lici (gli slavi); «la nostra lingua •— dicevano i triestini — gli ordinamenti, i costumi nostri sono grandemente diversi dai loro; noi non li comprendiamo ed essi non ci comprendono quando noi parliamo a loro in lingua nostra; in Trieste, di cento appena uno saprebbe parlare in lingua vendica (slava), e in tutta la città si troverebbero a mala pena tre che sapessero il tedesco » ; i pochi « sclabi » che in passato scendevano a Trieste eran considerati giustamente quali stranieri; proprio come adesso i triestini chiamano giustamente « foresti » gli slavi che dall’interno scendono a Trieste. — Cfr. in proposito: Hortis: «Per la Università italiana di Trieste»; Cavalli: «Storia di Trieste»; Benco: «Trieste»; Tedeschi: «Il sentimento nazionale degli istriani»; Scussa: «Storia cronografica di Trieste» ed un articolo di A. Tamaro su « Trieste, città italiana ».