20 Parte I - Considerazioni di oggi. Trieste ». Mi ci accinsi. Trovai varia roba, parecchia roba, ricordi di un tempo lontano, di una giovinezza piena. Mi commossi. E restai meravigliato. Meravigliato. Come mai? e di che? Di due cose molto semplici : dell’ardire degli irredenti irredentisti e della libertà che concedeva loro il Governo austriaco. Come era stato possibile tutto questo? Eravamo andati davvero tanto oltre? Non c’era possibilità di dubbio. Dinanzi a me stavano articoli e discorsi stampati e pubblicati, con nome e cognome. L’cc oppressione » austriaca dove se ne andava, allora? 10 ricordavo bene che cosa era stata la... oppressione austriaca, ma pure non avrei osato ricordarla così... mite, tollerante, paterna. D’altra parte, un quesito si affacciava e si imponeva all’attenzione : come era stato possibile che con un Governo così bonario, la fiamma dell’irrendentismo si alzasse tanto in alto, sempre più in alto, minacciosamente? Quale mistero si celava nella tolleranza delle autorità e nella, dal punto di vista dello Stato dominatore, impudenza di quelli che allora si chiamavano sudditi e non erano ancora cittadini? Il « mito » irredentista si presentava nella sua integralità ai miei occhi di studioso, non più giovane battagliero, ed io desideravo di scioglierlo con integrità di indagatore obiettivo. Ne conseguiva la necessità di una revisione. Il primo italiano in attività di governo con cui, dopo lo scoppio della conflagrazione europea, nel 1914, ero venuto a contatto fu Ferdinando Martini, Ministro delle colonie nel Gabinetto Salandra e, come il Salandra stesso ebbe a scrivere (Cfr. 11 suo « Intervento », pag. 239) « di tutti i Ministri il più caldo interventista ». Lo avvicinammo con Attilio Tamaro (apostolo, questi, infaticato e infaticabile d’irredentismo, il più attivamente irredentista di tutti gli irredenti, l’uomo dalla costante divina certezza nel nostro immancabile e prossimo destino unitario), per invocare subito dopo la dichiarazione austriaca di guerra, assistenza e ausilio per la causa della libertà adriatica. Ferdinando Martini non avrebbe potuto riceverci con più af-