— 24 — romano nelle sue varietà che si distinguono dalla grossezza dell’occhio, dalla lunghezza e forma dell’asta e dal contrasto più o meno accentuato fra le parti chiare e quelle scure. Delle due famiglie principali: Yelzeviriano e il bodoniano (chiamati così dal nome dei due grandi tipografi che l’hanno usato), il primo, detto anche romano antico, non è che riproduzione del nostro carattere jensoniano, già nominato; il secondo, romano moderno, è la riduzione del lapidario latino a proporzione uniforme con più accentuato contrasto, ma tutti e due risalgono ad un’unica origine ed agli stessi modelli latini e umanistici, che hanno ripreso il sopravvento al principio del sec. XX, dopo l’imitazione di caratteri stranieri nell’Ottocento. Nella « Mostra del libro », tenuta a Firenze nel 1928 si vollero individuare questi principali tipi di pura marca italiana (Inkunabula, imitazione del Ratdolt; Umanistico o Sinibaldi e E nano, derivati da scritture di umanisti cinquecenteschi, il Pa-stonchi, Paganini, ecc.). Due fonderie sono da ricordare in Italia: quella bodoniana, a Parma nel Settecento, di cui il Bodoni stesso fu insigne punzonista, e attualmente la Nebiolo a Torino. Oggi, da noi, si rinnova quasi in quantità e qualità la nobile gara che si accese nel primo periodo dell’introduzione della stampa, e coll’aiuto vigile dello Stato molte belle edizioni escono in luce. Notevoli: le nazionali di Dante (Bemporad), Petrarca (Sansoni), D’Annunzio (Mondadori), Foscolo (Le Monnier), Galilei (Barbera), Garibaldi (Cappelli), Volta (Hoepli), Ariosto (Argentieri); i classici latini, a cura dell’Accademia dei Lincei (Libreria dello Stato), che sono vero vanto della nostra tipografìa e del nostro tradizionale senso d’arte.