— 36 — già nelle biblioteche di Efeso e di Pergamo, dalle sale grandiose, con absidi per la statua d’Atena, porticati all’esterno, e nella sala stessa a guisa di galleria, ballatoi sopra zoccoli di pietra, armadi e scaffali intarsiati, con i ritratti dogli autori di cui si custodivano le opere, facciate magnifiche adorne di statue. E dall’inizio non manca neppure quella ricerca di reale praticità, tanto riguardo alla costruzione generale, quanto alla distribuzione dei locali e dei servizi, perfettamente intonati allo scopo che oggi prevale: tale fine si rivela dall’esposizione ad oriente, per miglior lettura al mattino e anche per migliore conservazione del materiale, dagli ampi finestroni e dalla prossimità di un portico, che Vitruvio dice indispensabile anche per biblioteche private, e dalle stanze adiacenti per magazzini e per deposito di quelle opere che non trovano posto nella sala. Il carattere monumentale delle biblioteche si continuò attraverso i secoli, specialmente qui in Italia, destinandovi nei palazzi principeschi e nei conventi più importanti, splendide sale, magnificamente affrescate e dai grandi scaffali istoriati (per il Settecento sono splendidi esempi la Eiccardiana di Firenze e la Casanatense di Eoma). Ma l’incremento continuo del materiale, che costrinse a scaffalature fino in cima alle alte pareti, divenute poi anch’esse insufficienti, orientò sempre più verso costruzioni aventi ampiezza di spazio che permettesse praticità di servizi e razionale distribuzione dei locali per la pubblica lettura, per l’amministrazione, per i magazzini. Due italiani hanno il primato anche in questo: il Della Santa col suo progetto del 1816 e Antonio Panizzi, esule a Londra e soprintendente del British Museum che, trasformando il cortile di questo in sala di lettura, propose e tracciò un disegno che servì poi alle costruzioni posteriori: di forma circolare, a cupola, con al centro gli impiegati e i cataloghi: i libri intorno alle pareti in scaffali e i lettori in banchi a raggera fra il centro