didi capolavori, anche in Italia, come quelli per i Visconti e uno per Loreuzo il Magnifico, stupendamente miniato. Centri di copisti famosi furono in Italia Bobbio, Nonantola, Montecassino, Pomposa: all’estero S. Martino di Tours, Corbie, Corvey, S. Gallo. I principi ricercavano questi manoscritti come tesori preziosi, pagandoli con larghezza di amatori e li custodivano in plutei, specie di banchi su cui i codici erano legati con catene: tutti i centri dove fiorì il nostro glorioso rinascimento ne conservano ancora gran parte, a cura delle grandi e famose biblioteche: la Vaticana a Roma, la Laurenziana a Firenze, la Marciana a Venezia, l’Am-brosiana a Milano, per non dire che delle maggiori. Ma oltre il valore esterno di questi manoscritti, come opere d’arte, grande è il loro valore intrinseco come fondamento degli studi di storia e di critica letteraria. Infatti, se quelli non ancora esplorati possono riservare sorprese e scoperte di nuovi testi che si credevano perduti o s’ignoravano, anche i manoscritti di opere già pubblicate sia classiche che medioevali e anche composte dopo l’invenzione della stampa, hanno una grande importanza per stabilire quello che si dice il testo critico, cioè il vero testo, quale presumibilmente l’autore può avere scritto. L’ignoranza, la volontà di correggere, la noia della continua copiatura, influenze dialettali, religiose, politiche, e mille altre ragioni hanno agito variamente sui varii scribi o amanuensi, in modo che ne risultano in molti luoghi lezioni, come si dice, diverse, o espressioni e passi diversi: per cui è necessario raffrontare i vari manoscritti, cioè fare la collazione di essi, per vedere quale sia il più autorevole: l’autografo o quello che ne deriva direttamente, l’apografo. Varia è la condizione in cui i manoscritti ci sono pervenuti attraverso i secoli, le vicende, le dispersioni e trasmigrazioni da luogo a luogo, in seguito a doni,