164 CAPITOLO VI. Giovanni Rost in Firenze, dove furono pure eseguiti quelli con le storie di Davide, regalati a un Tiepolo da Bianca Cappello. Giunse in Venezia a quella sublime altezza che tutti sanno la più utile delle arti e la più nobile delle industrie, la stampa. Abbiamo toccato un pò della vita di alcuni di quegli uomini, ai quali è dovuta la prosperità gloriosa della tipografia veneziana. Essi non sono, è vero, nati tutti a Venezia, ma in questa città poterono trovare il modo di svolgere la loro iniziativa e di condurre a perfezione la loro opera. La stampa fu particolarmente protetta dal Governo, il quale largheggiava di concessioni a tutela della proprietà letteraria, cominciando dal decreto del 1486 per la Storia del Sabellico, e precorrendo, con questo provvedimento, tutte le più culte città nostre e gli stati stranieri. Sulla fine del Quattrocento i privilegi diventarono troppi, e la Signoria li tolse per favorire la libera concorrenza, « la perfida et « rabiosa concorrentia », come diceva uno di quelli che non la desideravano. La voleva invece il Governo, ma anche voleva che fosse leale, ed era sempre vigile e pronto a mantenere alto il decoro di questa preziosa industria e a far sì che la tipografia veneziana mantenesse il suo primato <*>. E disciplinava i lavoratori del libro e la sua formazione così rispetto alle tariffe per i compositori, battitori, tiratori, ai prezzi che per ciascun foglio di stampa si potevano richiedere, come alle materie d’esame per quanti concorrevano a immatricolarsi nell’ arte <2). Nell’ultimo decennio del secolo XV, Venezia contava dugento tipografi, che davano in luce millequattrocento e novantuna opera, laddove, negli stessi anni, Roma non ne dava che quattrocento, Milano dugentoventotto, Firenze centosettantanove. Dal 1501 al 1510, in un periodo turbato da guerre e da sventure, i torchi veneziani diedero alla luce cinquecentotrentasei opere, quando se ne pubblicavano novantanove a (1) « Perchè l’è introdutta una dannosa et vituperosa usanza dai stampadori di questa città, i quali soleano esser « megliori che fossero in loco alcuno, et hora per far manco spesa nelle carte, le quali sono la più importante cosa « che si adoperi in questo exercitio, le comprano si triste che quasi tutti i libri, che ora si imprimeno in questa » terra, non retengono l’inchiostro de chi vuol notar et scriver alcuna cosa in essi.... et per il più scompissano di » sorte che oltre che è di danno alti lectori che non possono cavar fuori quel che vogliono nei margini d’essi libri, è anchora di gran vergogna et incarrico de la patria nostra.... l'anderà parte che non possano da hora inanzi per modo alcuno queli che haverano gratia da questo Conseglio stampare.... libri che habiano carte che scompissino, sotto pena « alti stampatori di ducati cento ecc. ». Doc. 4 giugno 1537, in H. F. Brown, The ven. printing press, cit., pag. 209. (2) Una parte presa dal priore dell’arte dei tipografi e dei librai incomincia così: * Considerando io Francesco • Rampazetto, Frior di quest'anno 1572, di quanta importanza sia questa nostra arte della stampa, la quale fabrica * li strumenti a tutte le scienze, ed allo ’ncontro vedendosi per poco ordine quanti et quanti suscitano di continuo « in essa arte, i quali, grossamente credendo che l’esercitio della stamparia sia cosa di poca intelligentia, si fanno « lecito entrar al maneggio di essa per poca cognitione et manco esperienza che ne habbiano; la qual temerità si vede anco nell! librai, 11 qual inconveniente, oltre al gravissimo danno et vergogna a questa inclyta città di Venetia, partorisse ruina, precipitio et infamia ad essa arte nostra ecc.*. Brown, op. cit., pag. 253, doc. 27 apr. 1572. MfCKNO SAGGIO DI XILOGRAFIA VENEZIANA. UNA PAGINA DELLA t DIVINA COMMEDIA ». (Venezia, Piero de Quarenghi da Palazago, 1497).