62 CAPITOLO III. Cinquecento. Così Baldassarre Castiglione, maestro di signorili eleganze, volendo parlare di un cavaliere sgraziato, dice che cavalcava alla veneziana<‘>. Ben è vero che Andrea Calmo, non senza una cert’aria canzonatoria, narra come i Veneziani si sforzassero, quando erano in terraferma, de tegnir le ponte d’i piè drio la testiera, per parere un puoco istruii in l’arte di cavalcaoriW. Non riuscivano a ingannare alcuno. Poggio Bracciolini narra di un altro veneziano che, montato a cavallo, teneva gli sproni in tasca, e poiché la bestia camminava lentamente, la batteva spesso ne’ fianchi coi talloni, minacciandola col dire: «Se tu sapessi cosa ho in tasca cambieresti il passo». A questi motteggi altri ne aggiungono il Bibbiena, l’Ariosto, l’Aretino, ed è, fra gli altri, curioso l’aneddoto, riferito da Enrico Stefano, di quel veneziano che, montando un cavallo restìo, provò a spiegare un fazzoletto, e poiché lo vide agitarsi contro il vento concluse col dire che il cavallo aveva ragione di rinculare, perchè il vento era contrario. « Qe venitien pensoit «estre in gondola: et songeoit à Sta-li e à Premi.» (3). Ma non aveva torto neppur messer Vergolo, nella Talanta dell’Aretino, il quale osservava che in Venezia egli rideva de’ forestieri, quando nello smontar di gondola escivano per la poppa. E più ragione aveva l’Ariosto dicendo che sono mestieri diversi volger timoni e regger briglie. (1) Cortegiano, L. I, cap. XXVII. (2) Calmo, Lett. cit., pag. 13. (3) Henri Estienne, Deux dialogues da nouveau langage frangois italianizè et autrement desguizé, principalement entre les courtisans de ce temps, ed. Ristelhuber, Paris, 1885. La prima edizione è del 1578. una gondola. Dal Cod. Maggi nella Bibl. naz. di Parigi).