22 CAPITOLO II. rorowBiggg KIuìmum sempér ante omnia DiLÌ( klNTER INOUiRlU in ri !M JUSTim ETCHARITATE DIVHNIATIS : NEMINEM* OTNDEMNEnS ANTE VEHUM.l TJl^af, flJDiaUM; NULLUM JUDICE OS SI «PITTO -NIS ARBITRIO ; SED FRMI M PROBATFÌT POSTFA aiARITAIlVAM SENrENTL-yvì -o PRQFERTE : ET QUOD VOBIS NO VULOS magistrati furono celebratissimi il padovano Speroni e il vicentino Trissino <*>. Gli avvocati nobili erano eletti dal maggior consiglio, e fino al 1527 furono ammessi anche i preti all’esercizio dell’avvocatura, il quale era concesso non solamente a quelli che fossero nati nella dominante, o nelle terre soggette, con la prova di domicilio decennale in Venezia, ma anche ai forestieri, che vi avessero avuto stabile dimora pel corso non interrotto di tre lustri. Col titolo di ordinari v’erano poi avvocati, tutti patrizi, addetti alle magistrature, ossia alle Corti al proprio, al forestier, al petizion, all'esaminador, al procurator e al mobile. Fino al secolo XIV, nessuna lite poteva essere trattata senza l’obbligo di ricorrere agli avvocati ordinari, ma col proceder del tempo, se non annullato, andò di mano in mano in disuso tal privilegio, come occorse in Roma quando furono abolite le azioni, ossia le formule sacramentali. Però, nel secolo XVI, di cotesti ordinari si stabilì il numero fino a ventiquattro per le Corti, e fino a sei per i magistrati a Rialto, e i litiganti avevano il diritto della scelta. Tuttavia, i più, curanti soltanto della loro mercede, stavano paghi del nome e del titolo, non mai perorando le cause, discusse invece dai sollecitatori, detti comunemente intervenienti, i quali erano giovani avvocati non nobili. Per difendere il pubblico patrimonio, nelle cause intentate da privati, fu, nel 1522, nominato un avvocato fiscale della Signoria; nel 1532 gli avvocati fiscali furono due, uno patrizio, l’altro cittadino. La procedura nei reati comuni dava all’imputato guarentigia d’imparzialità da parte dei giudici, ma nelle punizioni dei delitti la nuova età non aveva recato più umani principi. Quando la colpa era provata, taceva nell’animo del giudice quella pietà che anche nel gastigo è un dovere. Un’iscrizione nelle stanze dell’Avogaria, in palazzo ducale, esortava i giudici a sentenziare cum justitia et charitate. Con giustizia sì; non con pari carità. Allora ne’ paesi più inciviliti d’Europa il giure criminale continuava a inventare, con terribile fantasia, le più efferate torture, e in Venezia erano sempre in vigore i fieri supplizi della cheba (2), della frusta, del bollo col ferro rovente, della perdita degli occhi, (1) Intorno all’arte oratoria si trovano norme, precetti ed esempi nel De sublimi genere dicendi del cardinale Marcantonio Da Mula, nell’Ora/ore di Gian Maria Memmo, nel dialogo Dell'eloquenza di Daniello Barbaro e nel Breve trattato delVOratore del cipriotto Giason de Nores (Padova, 1574). (2) Malipiero, Annali cit., P. II, pag. 693; cfr. Dalla Santa, Della «cheba del supplizio» appesa al campanile di S. Marco, in « N. Arch. Yen. », a. 1912, t. XXXIII, pag. 458.