426 CAPITOLO XIII. volle bensì conservata la consuetudine che i fabbri tagliassero la testa al toro, ma fu abolito l’antico tripudio, perchè non è de decoro della Signoria nostra, come dice il decreto (,). Il simbolo vivente della dignità dello stato e della pompa della nazione, il rappresentante di una sovranità, esercitata in realtà da altri, era il doge. La sua elezione era annunciata dagli spari dei cannoni delle galere, ancorate nel bacino di San Marco, a cui rispondevano le campane di tutte le chiese. Sei magistrati si recavano alla casa dell’eletto, lo accompagnavano al palazzo, e poi nella basilica, dove il nuovo doge COSTUME DA TORNEO. (Fondazione Quirini-Stampalia, mss. cl. Vili, cod. I, c. 28). saliva sulla tribuna di marmo, a destra del coro, e mostravasi al popolo. Dopo la messa solenne, giurava fedeltà alle leggi, riceveva dal primicerio lo stendardo della Repubblica, indossava l’aureo manto, e quindi montato sur un pergamo di legno, detto pozzetto, era portato in giro per la piazza dagli arsenalotti, i quali, con grossi bastoni tinti di rosso, s’aprivano l’adito tra la folla, a cui l’eletto gettava monete d’oro e d’argento, secondo il costume introdotto dal doge Sebastiano Ziani. Compiuto il giro della piazza, il corteo entrava in palazzo, e il nuovo doge era condotto in cima alla scala dei Giganti, dove il consigliere più giovine gli poneva sul capo il corno ducale. Il popolo, liberalmente provveduto dalle cucine e dalle cantine ducali, continuava la baici) Arch. di Stato, C. X. Misti, reg. 43, c. 124 (7 marzo 1520).