6 CAPITOLO I. « aiuti. Sti zorni sa pagà la farina lire 8 el ster in fontego; a hora con l’aiuto de Dio la « xe chalà a lire 6 la bona ». Passato il primo sgomento, si riaccende la fede di vivere e il proposito di vincere. « Tuti zentiluomeni et puovolani — continua il Merlini — com-« prano armature per armarse; te dicho di 100 i 90; una churazina che valeva 2 e 3 du-« cati vai 5 e 6 ». Anch’egli, il modesto mercante, vuol comprarsene una per seguire i molti patrizi, tra’ quali i figli del doge Loredan, che corsero, come scrive il Sanudo, con bon animo a far fati. L’esercito di Venezia era in rotta, ma l’anima veneziana s’era rifatta intera; il nemico aveva occupato terre di San Marco, ma la capitale era immune da invasione straniera; la sventura che aveva piegato gli animi, li univa in un solo pensiero, in una sola fede — la patria. Raccolte tutte le forze e tutti i voleri, la Repubblica, senza sciogliere, come fu creduto, i sudditi di terraferma dal giuramento di fedeltà, ma richiamando soltanto alla dominante le guarnigioni militari di alcune città, seppe ricuperare i dominii perduti, o col valore delle armi, come nella difesa di Padova, o coi maneggi, pieni di tanta accortezza da destare ammirazione nei più implacabili nemici. Uno di questi, il vercellese Lodovico Eliano, ambasciatore di Luigi XII, dopo aver tentato di suscitare una nuova guerra contro la Repubblica, e dopo aver imprecato contro la maledetta superbia dei Veneziani, era costretto a confessare: « Grande è la potenza dei Vene-« ziani, imperciocché quelli che hanno trovato ardimento d’aspettar in campagna aperta « quattro principi i più potenti dei cristiani e, spiegate le bandiere, combattere a guerra « aperta, certamente dobbiamo stimare e giudicare uomini potentissimi » Questo stato, che sapeva debellare, o con la forza o con l’accorgimento, la possanza collegata di pontefici e di monarchi, accendeva sempre più l’invidia dei principi cristiani, nefasta a Venezia quanto il furore degli infedeli. All’odio geloso di Carlo V contro la Repubblica fu dovuta, nel settembre del 1538, l’ignominiosa giornata della Prevesa, dove Andrea Doria, per obbedire all’imperatore cattolico e apostolico, impedì alle armi cristiane confederate di vincere il Turco! Uguale rancore Filippo II aveva ereditato dal padre: nel 1571, Venezia, unita al pontefice e alla Spagna, si copriva di gloria a Lepanto: ma a rendere compiuto e fruttuoso il trionfo sui Turchi, si opposero le invidie, le ire, le diserzioni dei collegati, ma più che tutto i gelosi dispetti di Filippo II, attivo nell’ordir cabale, mobile nei trattati e insofferente che le sue armi concorressero a crescere riputazione e forza alla Repubblica di San Marco. Venezia, esausta di forze e di denaro, abbandonata dagli alleati, discese col Turco a un accordo, che ai più animosi sembrò contrario alla dignità, e ridestò più violenti i biasimi contro il veneto egoismo. Alle fiere accuse si contrapposero le difese appassionate; onde raramente vien fatto di trovare un giudizio equanime, giacché la verità, ad essere esposta nella sua forma sincera, trova sempre un ostacolo così nei fautori come negli avversari. Ci sembra molto imparziale il giudizio, quasi ignorato, di Cesare Siinonetti da Fano, poeta e giureconsulto, stimato fra’ maggiori al suo tempo. Con animo addolorato, ma con occhio tranquillo, il Simo-netti guarda il disfacimento morale e politico d’Italia e ne studia la cause. Era ovvio che contro Venezia si rivolgessero l’ira e il livore degli stranieri, ma non pareva ragionevole che a quest’odio partecipassero anche gl’italiani. « Il qual odio, osserva il Simo-« netti, si cagiona che possedendo gli oltramontani, et specialmente Spagnoli, quasi la « maggior parte e più popolosa d’Italia hanno acquistata sì grande autorità che non so-« lamente conservano nelle nostre provincie i Stati loro, ma tirano anche alla loro divo-« tione gli altri principi italiani.... E gl’infelici medesimi Italiani prepongono gli honori, « i comodi et la grandezza de gli oltramontani a quella della loro Italia, che pure è (1) Lud. Heliani De bello suscipiendo adversas Venetianos et Turcos, oratio. — Petri Justiniani, Rerum Venet., Argentorati, 1611, pagg. 9-15. Cfr. Bargilli, Manoscritti della bibl. della R. Acc. di Torino, Torino, 1905, pag. 24.