2 CAPITOLO I. d’Italia, continuamente in armi per gare di preminenza o di dominazione, si serravano minacciosi intorno alla città adriatica; dall’altra l’ordinamento coloniale, che Venezia aveva istituito in Oriente, era minacciato da nuovi nemici. I popoli indigeni dell’Asia minore si sollevano contro l’aborrito dominio delle genti occidentali, e i Turchi Osmanli, che accendevano quelle ribellioni, dopo avere riconquistato le proprie terre, si rovesciavano in Europa. Dinanzi a tanto pericolo, Venezia parve ignara o indifferente, forse distratta dalle vicende italiane, forse fidando che gli Osmanli, senza forze marittime, non avrebbero potuto estendere le loro conquiste. Ma quando alle cupidigie di costoro diede maggior baldanza un forte nerbo navale, la Repubblica cercò di provvedere 'alla propria sicurezza, o stringendo alleanze, spesso infide, o scendendo coi nemici a patti non sempre dignitosi, o dimostrandosi anche da sè sola pronta a ributtare le offese nemiche, come nel 1416, quando Pietro Loredan, assalito nel golfo di Gallipoli dall’armata turca, condusse alla vittoria le navi di San Marco. La Repubblica, fiduciosa di aver dato un aspro ammonimento agli infedeli, stimò tuttavia opportuno concedere ad essi la pace, la quale, se dava agio al nemico di prepararsi a nuovi ardimenti, permetteva pure a Venezia di apprestarsi a una gagliarda difesa. Il genio pratico, ordinatore dei Veneziani incominciò col dare nuovo assetto alFamministrazione coloniale. Il vasto territorio insulare e costiero, da essi acquistato nel 1204, con lo spar-timento dell’impero bizantino, che formava una linea militare e marittima continua dalla Dalmazia al mar di Tracia, era stato ordinato con mirabile sapienza politica e amministrativa, in signorie feudali e in colonie militari, con reggimento autonomo, sotto l’alto dominio della Repubblica W. Per rendere più facile la difesa contro il Turco, Venezia restrinse le autonomie nazionali delle colonie, che raccolse in un’unica amministrazione, la quale rimetteva al governo centrale l’approvazione dei più importanti atti militari e finanziari. Quindi, abbandonati al loro destino Costantinopoli e gli stretti, le difese si arretrarono nell’Egeo, come dietro a un baluardo inespugnabile. Così andavano le cose in Oriente, quando la Repubblica si trovò avviluppata negli avvenimenti d’Italia, divenuta campo di alleanze, di battaglie, di paci. Venezia doveva la sua potenza e le sue ricchezze alle imprese marittime; ma, chiusa entro la laguna, guardava con desiderio alle patrie degli antenati, al di là del dogato, che terminava da una parte a Grado, dall’altra a Capodargine. Oltre quei ristretti confini, si stendeva tutt’in-torno la Venezia romana, divenuta dominio degli imperatori stranieri. Accanto ai castelli dei potenti feudatari — i patriarchi di Aquileia, gli Ezzelini, i Caminesi, i Collalto, gli Scaligeri, i Carraresi — s’alzavano borghi, ville, monasteri, e ferveva l’operosità agricola e commerciale, spesso turbata e sconvolta dalle mischie feroci tra gli stessi vassalli dell’impero e dalle terribili incursioni degli Ungari. I Veneziani, a traverso la navigazione dei fiumi e le grandi strade romane, giungevano alle terre finitime per ottener franchigie sui mercati, o per acquistar case e poderi. E poiché molti nobili e cittadini avevano vasti possedimenti nel continente veneto e nel ferrarese, il Governo, temendo che gl’interessi privati fuori dello stato avessero a prevalere sulla politica veneziana, decretò che negli acquisti di terraferma non si potesse andare oltre il lecito <2>. Il disegno di una politica territoriale conquistatrice era in contrasto coi concetti mercantili che informavano la Repubblica. Quando, non pure i principati italiani, ma altre genti d’Europa, e specialmente la Francia, s’intromisero nelle faccende d’Italia e d’Oriente, Venezia cominciò a comprendere che, per non cadere in balìa dei nemici, bisognava allargarsi e (1) Manfroni, SI. della marina ¡tal. dalle invasioni barbariche al trattato di Ninfeo, Livorno, 1899, pag. 337 e segg. (2) Lazzarini, Antiche leggi venete sui proprietari nella terraferma, in * Nuovo Arch. Ven. », a.1919, t. XXXVIII, pag. 5 e segg.