338 CAPITOLO X. gliuoli d’altri nobili, affinchè cotesta specie di parentela spirituale non desse pretesto a difficoltà nei matrimoni fra patrizi; ma più forse pel timore che un qualche ambizioso non avesse a stringere con troppi dei suoi pari quei vincoli che allo Stato davano sempre sospetto <•>. La famiglia borghese e la famiglia popolana, che di poco differivano nelle consuetudini, celebrano con assai minor lusso, ma con maggiore spontaneità gli avvenimenti lieti della casa. La vita intima popolare, che rimane quasi neH’ombra, può essere in qualche parte ricostruita sui pochi documenti contemporanei, che ci ricordano costumanze non del tutto perdute, ma che certamente risalgono a tempi lontani. La lingua si rinnovella, variano i costumi, ma intatti rimangono nel popolo cosi gl’istinti e i pregiudizi, come certi riti e simboli, tramandati di generazione in generazione, senza mutamento <2>. A traverso la forma, che si è andata a mano a mano ripulendo, ci è dato scorgere i fili che legano il costume del volgo di un’età più vicina a quello forse dei primi tempi di Venezia, certamente di questi di cui ora parliamo; e le novelle, le fiabe, le leggende, i proverbi, le poesie, che salutano ancor oggi l’amore, il talamo, la culla, e si alzano sulle tombe, ci fanno sentire come l’eco della gioventù d’una stirpe; vi ritroviamo le vestigia sparse del passato, raccogliamo il suono, che ne’ vecchi tempi s’alzava dalle umili case e nelle vie di Castello e di Cannaregio <3). L’amore molte volte nasceva in chiesa <4); le prime dichiarazioni si facevano col canto sotto le finestre delle ragazze vagheggiate<5); le quali poi, nelle feste pubbliche e nelle sagre, si traevano dietro i giovani preferiti, marinai, arsenalotti, operai dai cento mestieri, belle e gagliarde figure virili, vestiti di panni fini o di velluto, ben pettinati e profumati, col loro pugnale (cinquedea), appeso alla cintura<6). Il fidanzamento era festeggiato con un lauto banchetto delle famiglie dei due promessi sposi. Lo sposo dava alla fanciulla il pegno, che consisteva in un anello d’oro; la (1) F. Sansovino, Venetia cit., pag. 402; Gallicciolu, 11, 380. (2) Dai.medico, Canti dei popolo venez., Venezia, 1857; Bernoni, Canti pop., Venezia, 1872 e 1873; Pasqualigo, Proverbi veneziani, Treviso, 1882. (3) D’Ancona, La poesia pop. it., Livorno, 1906, pag. 205 e seg. Nota, per esempio, il D'Ancona come la canzone che trovasi nel Marescalco (atto 11, se. Vili) dell*Aretino: Cara madre maridemi Che non posso più durar... sia una delle comunissime canzoni di ragazze impazienti della verginità loro. Antichissimo è anche nella poesia po* polare il procedere per via di domande e risposte, di cui abbiamo esempio in una versione veneziana che si riferisce al battesimo del bambino: — indove 'I batizemo? — — In ciesa a San Martin. — — Che nome ghe metemo? — — Costante, Costantin. — — E chi sarà el compare? — — Bernardo, Bernardin —. (4) Ancùo xe sabo e me ralegro el cuore; Doman xe festa e vedo lo mio amore, Se no a la prima messa, a la seconda, Quela cantada che sarà più longa. (5) Bizzarri 1 versi d’amore, accompagnati probabilmente dallo strimpellio della chitarra, di una frottola di Lazzaro da Crusola (Curzola) in Oa.mba, Serie degli scritti in dial. ven. cit., pag. 59: MI son tanto inamorao In dona Nina mia vesina, Che me dà gran disciplina, Che me vedo desperao. Onao bao, bao gnao Mi son tanto inamorao. (6) Cosi il Caravia (Saspo Hi zar o cit., pag. 63) descrive l'arsenalotto vestito da festa: Quando che un Castelan xe inamorao Et se ne va su la gamba pulio. Co la so miecra e rizi petenao, De pano fin e de ueluo vestlo, Co la so cinquedea, perfumegao Che 'I sa da bon a la lontana un mio, Tanto galante ch'el no par de queli. Che dopra in Arsenal dala e scarpeli.