26 CAPITOLO II. Triste nominanza diedero a Venezia anche le sue carceri, descritte da penne perfide o ignoranti come orride tane, entro cui si maceravano, sepolti vivi, i prigionieri. Verso la metà del secolo XVI, nella riedificazione di quella parte del palazzo dei dogi che dà sul rio, furono costruite, non sotto il livello dell’acqua e neppure a fior d’acqua, ma all’altezza del pavimento degli atrii del palazzo, alcune celle a uso di carcere, dette camarotti, o volgarmente pozzi. In uno stretto corridoio a tre svolte, si aprono le porte di nove segrete e, scendendo per una scala di sedici gradi, se ne trovano altre nove. Le celle dovevano ARCH. ANTONIO DA PONTE (1589) — LE PRIGIONI AL PONTE «DELLA PAGLIA». essere tutte uguali a quella che ancora rimane <‘>. La luce vi giungeva fioca, ma non così da impedire ai prigionieri di lasciare sulle pareti alcune iscrizioni, graffite col ferro o tracciate con la matita. De chi me fido guardami Iddio De chi non me fido me guarderò io, scrive uno di nome Francesco, al quale la sapienza del motto pare non abbia insegnato di sfuggire ai birri degli inquisitori. Ma le lunghe dolorose ore della solitudine erano consigliere di prudenza, giacché un altro traccia sul muro questi versi: Non ti fidar d’alcuno pensa e tacci Se vitar vuoi de spioni insidia e lacci; Il pentirti e agitarti nulla giova, Ma ben del valor tuo la vera prova. (1) h a volta, alta metri 2,45, larga 2,55, lunga 5,48; nel fondo un tavolato a uso di letto, iungo metri 2,05, largo 0,74.