98 CAPITOLO V. rificatore della luce. Nelle sue pitture il pensiero, il sentimento, la commozione si trasformano in una grazia plastica maravigliosa, in una perfezione tutta esteriore e sensibile. Egli crea un mondo incantevole e vario: donne rosee, procacemente voluttuose, fanciulle sorridenti, dalla fronte tranquilla, uomini gagliardi e biondi adolescenti, sguardi velati e occhi lampeggianti, seni bianchissimi e carni abbronzate, nani e giganti, principi e cortigiani. Le sue tele sono così abilmente composte, l’intonazione ne è così fresca, le tinte così armonicamente fuse, che nulla di più attraente, di più luminoso, di più gioioso si può immaginare. Il più meditativo e gagliardo dei pittori veneziani di questo tempo è Jacopo Tintoretto. Anima appassionata e veemente, ebbe, accanto a splendori di cielo, profondità paurose: immagini innumerevoli e svariatissime si generavano senza posa nella mente dell’artefice che nel Miracolo di San Marco seppe meglio d’ogni altro accogliere tutte le energie essenziali della pittura veneziana. Con la sua fantasia inesauribile egli popolò Venezia di figure e improntò il mondo da lui ritratto delle passioni che gli agitavano l’animo. Giorgio Vasari, dopo averlo chiamato il più terribile cervello che abbia avuto mai la pittura, lo accusa di tirar via di pratica, e Giovanni Morelli, il rinnovatore della moderna critica d’arte, giudica questo rivale di Tiziano, e-nergico e grandioso bensì, ma talvolta un po’ superficiale. Nulla di meno vero: la rapidità della mano e l’invenzione facile e copiosa erano disciplinate dallo studio assiduo, dalla meditazione profonda; la scienza dei movimenti, della prospettiva e della luce era il frutto di un’assidua investigazione e di lunghi esperimenti. Gl’ingegni più fervidi e fantasiosi studiavano con sottile e quasi meticolosa pazienza gli atteggiamenti delle persone e le pieghe delle vesti sui modelletti di legno che si snodano (manichini), sui rilievi di iesso et di cerra Narra Carlo Ridolfi, lo storico della pittura veneziana (2), che, quando il Tintoretto tralasciava di dipingere, stava ritirato in una stanza buia, e con la lucerna illuminava certe piccole figure di creta, da lui modellate, traendone quegli effetti di chiaroscuro che egli prediligeva. E per ¡studiar gli scorci del sotto in su, come quello stupendissimo del Miracolo di San Marco, sospendeva dei fantocci con fili alle travi del soffitto. Alcuni, ricercatori pazienti, al pari del Tintoretto, si travagliavano anche intorno alle tecniche, chini sulle pietre de marmo fino, alquanto incavate, (1) Libro di conti di Lorenzo Lotto (1538-1556), in « Le gallerie naz. ital. », Roma, a. I, 1894, pag. 115. (2) Ridolfi, Le maraviglie dell'arte, Padova, 1835. La prima edizione è di Venezia, Sgava, 1648. La più recente edizione, con note di Detlev von Hadeln, fu pubblicata a Berlino, Grote, 1914.