386 CAPITOLO XI. la cui ferita era leggera, si riconciliò col suo feritore <*>. Di più funesta contesa fu scena, il 17 febbraio 1548, la casa di Marco Veniero, podestà di Murano. In quel giorno, che era di domenica, molte dame e gentiluomini, sul campo di Santo Stefano a Venezia, s’erano scapricciti nella baldoria carnevalesca con giostre, giochi, danze, mascherate, a cui aveva preso parte il giovine e bel capitano, amico di Carlo V, Antonio Castriota, duca della Ferrandina, giunto da pochi giorni sulle lagune. Alla sera, il Ca-striota andò a Murano, in maschera, alla festa del Veniero, e non essendo stato riconosciuto, e volendo ballare con la gentildonna Modesta Michiel, moglie di Daniele Veniero, gli si opposero due giovani patrizi, Marco Giustinian e Giorgio Contarmi, onde ne nacque fierissima contesa. In mezzo a un cerchio di donne atterrite, mentre le musiche sonavano nelle stanze vicine, si venne alle armi; il duca fu ferito nel capo e ferì involontariamente un Diedo, suo a-mico carissimo, che aveva cercato di separare i contendenti. Mori il Diedo, e morì il duca della Ferrandina, il quale ebbe dalla Repubblica onore di solenni funerali e di magnifica sepoltura nella sagrestia di San Pietro martire di Murano. Ma d’ordinario si svolgevano immuni da siffatti tumulti le feste patrizie, le quali molte volte uscivano dalle superbe stanze dei palazzi e continuavano nelle vie o sulle barche, lungo i canali. Perchè Venezia fu sempre, per le sue condizioni speciali, per l’assenza dei cavalli e dei veicoli, una grande abitazione, in cui il veneziano potè vivere all’aperto, come in casa propria, e poveri e ricchi si sentirono uniti da una stretta intimità di consuetudini. Così, il 4 luglio 1524, parecchi cavalieri, dopo essersi intrattenuti fra balli e musiche nel palazzo Foscari a San Simeone, accompagnarono le dame in vestura benissimo vestite et adornate di cadene di oro et di zoie, sovra palischermi e burchi pavesati, per assistere a regate di barche condotte da donne, e quindi in mezzo di strada fu servita una colazione, alla quale fu invitato il duca d’Urbino*2*. Nel 1541, la compagnia dei sempiterni rappresentò sul canalgrande « la macchina del mondo, nel « mezzo del quale, essendo vacuo e regalmente addobbato d’oro e di seta, furono « 200 elettissime gentildonne, le quali ballando al passo di ben cento stranienti musici, n erano tirate dolcemente da palaschermi e altri legni per lo corso dell’acqua » (3>. Nè molto diverso lo spettacolo che fu dato nei 1562 dagli accesi, e che, percorso il gran canale, continuò nelle stanze del palazzo Dolfm a Rialto <4). E pari allo sfarzo delle feste era quello dei banchetti. Insegnava Paolo Paruta che la magnificenza, come è nobile virtù, così non fa di sè degna qualunque operazione, (1) Arch. di Stato di Firenze, Filza Medicea 5932, Carteggio di B. Cappello, c. 581 e 582. — La lettera fu pubblicata dal Saltini nel < Fanfulla della Domenica > (anno 111, n. 9). (2) SANUDO, XXXVI, 459. (3) F. Sansovino, Veneti a cit., pag. 407. (4) Ibid. UTENSILI DI CUCINA. (Da > L’arte del cucinare - di B. Scappi).