354 CAPITOLO X. Girolamo Quirini (28 ottobre 1538), che intendeva restringere la concessione della sepoltura nei templi, ebbe contrario effetto, giacché il Quirini voleva bensì che di quella concessione fossero soltanto degni i prelati, gli uomini di sante virtù, di grandi meriti civili, o di antica nobiltà dì sangue, ma vi aggiungeva anche gli habentes sepolturas proprias in Ecclesia,l>. Dopo ciò, tutte quelle famiglie, che poterono darsi tal lusso, ingombrarono le chiese e le sacrestie di avelli, di statue, di busti, di lapidi, d’iscrizioni. Fra il gran numero di sepolcri d’ignoti, sfoggia splendido il fasto patrizio, che parla ancora della sua potenza con magnifici mausolei, li simulacro del morto, sempre disteso nella rigidità cadaverica sulle austere arche medievali, comincia nel Rinascimento a essere circondato da tutte le parvenze della vita, e l’effigie scolpita nel sasso rappresenta spesso l’estinto ritto in piedi, oppure in atteggiamento di preghiera, come se egli facesse ancora parte del numero dei viventi. Così Vettor Cappello, il valoroso generale d’armata, che nel 1467 si spense a Negroponte pel dolore della sconfitta inflittagli dai turchi a Patrasso<2), è rappresentato genuflesso nel bellissimo monumento funerario, probabilmente di Antonio Rizzo, in atto di ricevere il bastone del comando da Sant’Elena. Neppure al generale Melchiorre Trevisan sorrise negli estremi giorni la fortuna, e nel 1500, fallitagli la impresa di Modone contro i turchi, mori di crepacuore in Cefalonia. Di qui la sua salma venne riportata in patria, che al soldato, vìnto ma valoroso, accordò nella chiesa dei Frari l’onore di essere effigiato nel marmo. Buon mastro di guerra un altro Cappello, Vincenzo (m. 1541), vincitore dei turchi a Risano, il cui simulacro, scolpito da Domenico Salò sulla porta della chiesa di Santa Maria Formosa, rappresenta il guerriero ben piantato sulle gambe, con in mano il bastone del comando. Molti mausolei di dogi, di generali, di patrizi, che oggi abbelliscono le chiese, particolarmente quelle dei Santi Giovanni e Paolo e dei Frari, sono ornati di statue mitologiche, di geni, di ghirlande, di emblemi, che non destano certamente lugubri pensieri. La statua del doge Niccolò Tron, nel mausoleo eretto da Antonio Rizzo ai Frari<3>, sta in piedi, piena di vita, tra simulacri di donne che suonano e cantano, di guerrieri figurati con fierezza di rilievo, di vaghi bambini intorno a vasi carichi di frutta. Nella stessa chiesa, sulla tomba del generale di mare Benedetto Pesaro, s’ergono le statue di Marte e di Nettuno, e su quella di Jacopo Pesaro, Vescovo di Pafo, due gemetti si appoggiano su fiaccole arrovesciate. Nel monumento lombardesco di Pietro Mocenigo (m. 1476) ai Santi Giovanni e Paolo, il doge è in piedi fra due geni, e l’urna, sorretta da tre cariatidi, è circondata da statue di guerrieri e da due episodi del mito d’Èrcole, che contrastano col bassorilievo delle Marie al santo Sepolcro, scolpito in alto sull’attico <4>. Frate Felice Faber vide nel 1488 quest’opera non del tutto compiuta, e si stupì che accanto ai simboli di nostra redenzione si ponessero quelli del gentilesimo. Parimente il sarcofago del doge Andrea Vendramin (ni. 1478) di Antonio e Tullio Lombardo s'ingemma di fregi, di medaglie, di cammei, d’aquile, di sirene, di simboli di classica eleganza<5). Il simulacro del cavallo, che appare con profana bizzarria sul prospetto della basilica Marciana, portò la immagine della sua vita inquieta anche sotto le vòlte severe delle chiese. Un solo monumento equestre, quello del Colleoni, vide l’antica Venezia sulle sue piazze, ma schierati lungo le pareti del tempio dei Santi Giovanni e Paolo stanno quattro forti destrieri da guerra, che portano sull’arcione quattro gagliardi catafratti: Niccolò Orsini (m. 1509), generale (1) Gali.iccioi.i.i, II. 149. (2) SI erede clic dalla »confitta del Cappello sìa venuto il modo di dire: andare a Patrasso, che equivale a morire; ina questo modo di dire è usato anche in Toscana. (3) Vedi addietro pag. 82. (4) Vedi addietro pag. 83. (5) Quando dalla chiesa dei Servi il monumento fu trasportato in quella dei Santi Giovanni e Paolo, ne furono levate le statue di Adamo e d'Eva di Tullio Lombardo, perche parevano non rispondenti alla severità religiosa, e sostituite con due simulacri di sante.