446 CAPITOLO XIV. nista neppur quando la malvagità umana lo colpisce negli affetti più intimi e più cari. Fu veramente « un caxo grandissimo, orribile et miserando » l’uccisione di Lucrezia Zorzi, moglie di Marco Antonio Venier, avvenuta il 9 novembre 1531. I Venier erano congiunti diletti del Sanudo, il quale aveva passato l’adolescenza nel loro castello di Sanguinetto sul Veronese. Una sera, Lucrezia Venier, gentildonna bellissima e virtuosissima, stava nella sua camera, col suo bambino che andava zugando. Il marito era assente, i servitori occupati nelle stanze lontane, quando, « do scelesti traditori assassini », penetrati nascostamente nel palazzo, sorpresero la poveretta, la trucidarono barbaramente con molte ferite di coltello, e rubarono tutto ciò che di denari, di ori, di gioielli potè venir loro alle mani. Il Sanudo con accento commosso esprime la sua pietà per la vittima, ma dalla spaventosa ferocia degli assassini non trae argomento di querimonie per la tristizia dei tempi e di imprecazioni alla pubblica polizia non abbastanza vigilante. Era uno di quei reati che avvengono in ogni tempo e in ogni paese, e hanno il furto per movente abietto. Il Sanudo ha fiducia nei rigori della giustizia, e quasi come conforto osserva che uno dei due assassini non era veneziano, ma di nation piemontese (I). Un triste retaggio dell’umana natura sono i delitti: nessuna età ne va immune, nessun rimedio li può far scomparire. Non li faceva scemare neppure la giustizia, resa con fiera severità dalla Repubblica, la quale non ad altro intendeva che ad assicurare alla città la quiete. L’orrendo strumento della forca non veniva eretto soltanto fra le due colonne della piazzetta, ma, per mostra al popolo e a maggior terrore di tutti, s’alzava talvolta sulle vie e sui luoghi dove erano stati commessi i reati (2). Ma la pena di morte, il più temuto dei supplizi, non ha mai frenato i pravi istinti della natura umana, nè ha mai avuto potere di diminuire il numero dei delitti. Le violenze brutali di alcuni ribaldi, vaghi del sangue, devono essere considerate nel particolare, nel contingente, e non possono darci una sincera rappresentazione di un’età e di un popolo. In certi periodi, come nel tetro Seicento, i delitti avvengono è vero più numerosi e più orrendi, ma essi nascono dalla universale corruttela, e non ne sono la causa. Le passioni violente nella vita morale sono come i morbi singoli della vita fisica, i quali spengono gli uomini con vece assidua, ma non sconvolgono o annientano tutto un popolo, come avviene nelle epidemie e nelle pestilenze. Non più numerosi nel Rinascimento che in altra età i misfatti e le violenze sanguinarie, ma più che in altri tempi occulte, lente, insidiose le cause che andavano corrompendo e disgregando il consorzio sociale. Certe forme di vita e certe costumanze si atteggiavano in guisa diversa da quella del passato così da affliggere profondamente ogni nemico di novità. Uno spirito austero, Alvise Cornaro, lamentava che si fossero « introdotti in Italia da non molto in «qua, anzi alla mia etade tre mali costumi: il primo è l’adulazione e la cerimonia; « l’altro il viver secondo l’opinione luterana, il terzo la crapula; i quali tre vizii, anzi «mostri crudeli della vita umana, hanno tolto a deprimere la sincerità del vivere ci-«vile, la religione dell’anima e la sanità del corpo» <3). Alle rampogne del patrizio s’accordano quelle del mercante Martino Merlini, che, al tempo della lega di Cambray, scriveva: « chonvegnimo rechognoserse davanti la miserichordia de Dio di nostri men- (1) Sanudo, LV, 128, 129, 248, 282. (2) «In questo zorno (23 luglio 1515), da poi disnar, fu fato una forca al trageto di San Silvestro, zoè di qua « da San Luca, apresso la caxa di Corneri da la Piscopia, e fo apicado uno ladro, qual era familiar di caxa, barcaruol... «che con certi altri rupe una feriada e intrò in caxa e robò molte robe...., è stà preso di apicarlo; e cussi fo fato. «Ha moier e fioli; era honesto homo». Sanudo, XX, 409. (3) Cornaro, La vita sobria, Milano, Treves, 1905, pag. 3.