LA FAMIGLIA 343 l’ambasciatore Girolamo Lippomano che, reo o imprudente, sotto l'accusa di aver rivelato segreti del suo alto ufficio, per ¡sfuggire all’ignominia, si precipitò in mare e affogò (1). Ma pochi furono i suicidi, e se, per raro caso, qualche anima malata si sentiva inetta a vivere, l’estremo e disperato proposito diventava pazzia, pur nel suo stesso orrore, quasi grottesca. Stranissimo il suicidio di Lorenzo Frinii, giovine gentile, ornato di buoni studi, caro a Leone X. Trovandosi egli a Roma, fu invaso da una specie di furor micidiale contro se stesso: si gettò nell’acqua per annegarsi e fu salvato; poi nel fuoco e ne fu tratto malconcio; quindi, deludendo la vigilanza de’ suoi, si trapassò la gola con un pugnale, ma, sùbito amorosamente curato, guari. Finalmente, quando pareva risanato anche di spirito, spiccò un salto da un'alta finestra, e si fracassò le ossa senza morire. Fu raccolto e sarebbe stato ricondotto un’altra volta alla vita, se rifiutando ogni cibo non% si fosse lasciato morir di fame*2'. Se il fatto non trovasse conferma in autorevoli testimonianze, si direbbe un’invenzione per gettare lo scherno su chi rifiuta la vita. LA DOGARESSA NEL FERETRO. (Dai • Cerimoniali •, I). La grande melanconia della morte non trova accenti di commozione profonda nella poesia, e i molti rimatori veneziani, che piangono la dipartita dei loro parenti e degli amici più cari, sembrano fare quasi sempre esercitazioni di bello stile. Lo stesso Bembo, pur così amoroso cogli amici e cosi vero e schietto nelle sue lettere d’amore, è maestoso e sonoro, ma vuoto e freddo quando piange in versi la morte di qualche persona diletta. Nella canzone, scritta nel 1504, in morte del fratello Carlo, ch’egli amava con tenerezza, il dolore del poeta si stempera in vuote esclamazioni: O disavventurosa acerba sorte! O dispietata intempestiva morte! O mie cangiate e dolorose tempre! Qual fu già, lasso, e qual ora è 'I mio stato? E Celio Magno cerca d’eccitare la fantasia, ma lascia il cuore in riposo, quando scrive la canzone in lode di Elena Mazza, madre di Orsatto Giustinian, morta di pestilenza nel 1576. Eppure nessuna fonte più sublime che la pietà del figliuolo Orsatto, il quale, senza timore del contagio, volle assistere la madre e medicarne le piaghe delle ascelle<3). (1) Tormene, li bailaggio a Costantinopoli di G. Lippomano e la sua tragica fine, in « N. Arch. Ven. », a. 1903, t. VI, pag. 375; a. 1904, t. VII, pag. 288 e t. Vili, pag. 127. (2) Valeri am, De litteratorum infelicitate. Venetiis, 1620, pag. 45. (3) Cicogna, Iter., Il, 22.