AMORI, CONVERSAZIONI, FESTE, CONVITI 375 già da tempo in Italia, ma non è da disconoscere che il risorgimento degli studi classici aveva contribuito a raffinarla; la nuova cultura nobilitava in qualche modo i piaceri del senso, la poesia distillava in lenti filtri la voluttà, le novelle e le commedie beffeggiavano, disprezzavano, svillaneggiavano l’amor coniugale. Insieme con l’artificiosa cultura letteraria si era introdotto il cinismo nel parlare di tutto ciò che si attiene al costume, e l’oscenità nei discorsi era divenuta un abito anche negli uomini più onesti, così che il Castiglione insegnava come la donna non dovesse essere tanto ritrosa da aborrire le compagnie e i ragionamenti un po’ lubrici, e il ferrarese Celio Caleagnini fregiava di epigrammi priapeschi una statuetta nella villa di Pietro Bembo, il quale dettava l’osceno Priapus. Certe grossolanità di atti e di parole, certi scherzi e burle volgarissime, non stridevano con la grazia e la gentilezza del consorzio signorile (,). Accanto a un formalismo rigido e compassato, si scorgeva ciò che a’ nostri tempi, non esagerata-mente morali, avrebbe l’aspetto di inverecondia. Il genio predominante delle riunioni femminili, bene osserva il Burckhardt, non era l’effeminatezza moderna, vale a dire quei riguardi delicati per certe supposizioni, per certe suscettibilità, per certi misteri, che sono pure indispensabili, ma la ricerca soltanto del godimento e del piacere. Agli allegri conversari e alle letture salaci si alternavano giochi di ogni maniera. La gente più matura preferiva i tarocchi <2> e gli scacchi. Il giuoco degli scacchi, sul quale il Vida compose un poema (3), era reputato, come scrive Sperone Speroni, esercizio di belli ingegni e di gran signori. Si adoperavano scacchieri artisticamente lavorati d'oro, d'argento, di pietre rarissime, coi pezzi di cristallo; uno parve di tanta bellezza che fu portato, il 7 gennaio 1527, nella sala del senato per farlo vedere al doge e al collegio, che volevano acquistarlo per mandarlo in dono al sultano. Apparteneva al patrizio Giacomo Loredan di Santa Maria Formosa, costava cinquemila ducati, ed è così descritto da Marin Sanudo: « uno scacchier grando bellissimo in tondo et alto lavorado d'arzento « et d’oro con calzedonie, diaspri et altre zoie, et li scachi de crestallo finissimo »(4> Le carte fine da tarocchi con i cuori, i quadri, i fiori e le picche, con figure e nomi. (1) V. Rossi, Il Quattrocento cit., pag. 8. (2) Speroni, Trattai elio del Gioco, in Opere cit., I. V, pag. 442. — Invettiva (in versi sciolti) di Flavio Alberto Lollio ferrarese contro il giuoco del Tarocco, Venezia, Giolito, 1550. (3) Anche Luca Pacciolo aveva scrìtto un trattato De ludo schacorum nel 1508 circa, e in quell'anno aveva chiesto alla Repubblica il privilegio per stamparlo, ma pubblicato non fu, e non se ne ha piU memoria. (4) Sanldo, XLIII, 599.