LA PITTURA NEL PIENO FIORE ECC. 133 del 15 ottobre 1523, i religiosi si mostrano solleciti di provvedere alla grave e inferma vecchiezza dell’uomo venerando (1). Così le vecchie carte ci aiutano a far uscire dall’ombra la sua figura. I vecchi documenti ci dicono pure le consuetudini di una gente alacre, operosa e amantissima di Venezia, i Bergamaschi. Formarono essi una numerosa colonia, e divennero veneziani per quel diritto di cittadinanza, che il tempo, le consuetudini, i vincoli di parentela e di amicizia fanno acquistare (1). Alcuni esercitavano special-mente le industrie vetrarie e quelle tessili (velu-deri, samiteri, lanieri)-, altri erano occupati in umili mestieri, come quello di facchino; parecchi andavano per le fiere, vendendo merci, spacciando nelle loro cassette, appese al collo, cordelle e aghi, come gli antenati di quel soave pittore Andrea Previtali, cognominato Cordegliaghi, secondo l’usanza dei bergamaschi, i quali ripetendo gli stessi nomi di generazione in generazione, doveano ricorrere ai soprannomi, traendoli o dai loro mestieri o dai paesi nativi. Gli architetti e gli scultori più specialmente fiorivano nella valle del Serio, i pittori in quella del Brembo. Lasciavano i loro monti, si stabilivano a Venezia, formavano nuove famiglie, vivevano fra loro in amichevole consorzio, amorosamente ammaestrando giovani compaesani, valendosi pei loro interessi di notai bergamaschi, scegliendo per gli acquisti le botteghe dei loro compatrioti che vendevano roba a minuto. Alla patria lontana rivolgevano pensieri e affetti, e ad essa i pittori mandavano le opere del loro ingegno, che sono ancora ornamento di molte chiese del Bergamasco. Quantunque istruiti da veneziani, non perdevano l’indole natia, e conservavano certe doti peculiari della gagliarda razza montanina: non immaginazione fervida nè profondità di concetti, ma grande perizia di tecnica e luminosità di colorito, e un’agreste semplicità di composizione, che fa pensare alle vallate bergamasche, alle montagne sparse di prati e coronate di romite chiesette. Soavissimo esempio, il quadro di Rachele e Giacobbe di Palma il vecchio. Nuova luce recarono i documenti recentemente scoperti su quei valenti e modesti pittori, che si chiamarono Santacroce, Cariani, Previtali, Bosello, Zappello, Celere (3), ma più importanti le notizie sui Licini. Fu ed è ancora spesso chiamato Licinio il Pordenone; e fu creduto nipote di lui e friulano il pittore Bernardino Licinio, quantunque originario di Bergamo (1) Molmenti, Curiosità di storia venez. (Alcuni docum. concernenti l'autore della « Hypnerotomachia»), Bologna, 1919 pag. 145 e segg. (2) Fin da quando Bergamo venne in dominio della Repubblica (1428), moltissimi bergamaschi emigrarono a Venezia, dove più comunemente presero dimora nelle contrade di San Cassiano, di Santa Maria Materdomini e di San Boldo. (3) G. Ludwig, Die Bergamascken cit., pag. 2 e segg. '^\Y‘ .. .. _ (r**f— - fìSift ‘T***’’** ¿y* FIRMA AUTOGRAFA DELLA « CONDITION » DI JACOPO PALMA. AUTORITRATTO (?) DI JACOPO PALMA IL VECCHIO. (Monaco, galleria).