378 CAPITOLO XI. dona de ti se gaberà — Altro da lie mai non venerò; Chesta dona vien molto amada — Da so mario molto apresiada. Similmente i motti erano uno scambio di domande e risposte, talvolta licenziose, al pari di alcune del Bembo: — Ben ha da viver lieto e consolato Chi puote dire amando io sono amato. — — Non ti doler se gran beltà non hai: Chi piace ad uno amante è bella assai. — — Ella il diria ma per vergogna il tace, Che il dormir sola troppo le dispiace — (*). Affini alle sorti e ai motti erano i centoni, i proverbi, le frottole, gli enigmi e g\’indovinelli. Gl’indovinelli proponevano talvolta talune questioni di senso equivoco, a cui si doveva rispondere, oppure qualche fatto di storia in forma enigmatica, che si doveva spiegare; per esempio il seguente: Indovina indovinator Mi so fia de l’imperator; Oggi son figlia, domani son madre D’im figlio maschio, marito di mia madre. E si alludeva a un fatto di Roma antica, che narra d’un vecchio (l'irnperator), condannato a morire d’inedia; la figlia al padre suo (marito di sua madre), per prolungargli la vita, compiendo l’ufficio di madre, dà a suggere il proprio latte <2). Questi crocchi di conversazioni e di giochi si adunavano nelle stanze di quotidiana abitazione: laddove i quartieri di parata, le sale monumentali si aprivano soltanto in certe occasioni a feste, a balli, a conviti. Fra i divertimenti nessuno più elegante della danza, che ebbe i suoi storici, i suoi poeti, i suoi trattatisti. Anche l’età di mezzo ci ha tramandato trattati sull’arte del danzare, e fra i più antichi dovette aver nominanza, nell’Italia settentrionale, quello del poeta piacentino Antonio Cornazano, dedicato, nella sua prima compilazione del 1455, a Ippolita figlia di Francesco Sforza. Il Cornazano incomincia a dissertare sui requisiti del perfetto danzare (memoria, misura, maniera, aere, compartimento di terreno), e sulle quattro principali misure (piva, saltarello, quaternaria, bassadanza); séguita poi a parlare intorno ai movimenti, dei quali nove (scempi, doppi, riprese, continenze, contrapassi, movimenti, volte tonde, mezevolte, scambi) naturali e corporei, e tre accidentali (trascorse, frappameli, pizzicamenti). I balli « fora del vulgo, fabricati per sala signorile » erano: la mercantia, Giove, verzeppe, bereguardo, leoncello novo, prima figlia, Guilielmino, be' figlie, sobria, i quali tutti erano « solenni singulari, facti ultimamente — scrive il Cornazano — « per lo re dell’arte, mio solo maestro et compatriota, messer « Dominichino da piacenza ». A tutti si premette la musica in canto, e si fa seguire l’altra musica che accompagna i movimenti. D’altri bassi e bassedanze non è tenuta parola, « perchè sono troppo vecchi o troppo divulgati ». Il libretto manoscritto, di cui si conservano copie in pergamena di assai piccolo formato, come quello che sovente doveva andare per le mani di molti, non fu pubblicato e ampiamente illustrato se non ai nostri giornit3), ma parecchi altri più recenti ci rimangono, e vari e diversi balli descrivono. Giacomo Franco intagliò le figure delle danze di Fabrizio Caroso da Sermoneta, (1) ClAN, « Motti» del fiembo cit., pag. 52. (2) Dalmedico, La bona fìa, fiaba venez., in » Arch. delle trad. pop.», Palermo, a. 1884, voi. Ili, pag. 72. (3) Curzio Marzi, tl * Libro dell'arte del danzare• di Antonio Cornazano, in « Bibliofilia», 1915, anno XVII, voi. XVII, disp. I.